Intervento di Dr.Wayne Steiner, presidente comitato per l’etica dell’Associazione Italiana Chiropratici.
Sembrava il solito mal di schiena. Qualche giorno con un po’ di rigidità e di indolenzimento, poi un movimento apparentemente banale ed eccoci, bloccati con un dolore lancinante lungo la gamba: l’ernia al disco.
Cosa ci aspetta? Il solito rituale di anti-infiammatori, miorilassanti, analgesici. Poi le consuete visite, le terapie di recupero e, nel peggiore dei casi, il ricorso al la chirurgia. Non sempre però, l’opzione chirurgica risulta la più adeguata. A volte, anzi, potrebbe risultare più dannoso che utile. La stragrande maggioranza delle ernie discali non richiede l’intervento chirurgico. Attualmente, meno del 25% delle ernie arrivano a essere operate, e se parliamo di ernia discale cervicale la percentuale scende ulteriormente. Tanti tendono a considerare l’ernia al disco come un evento a sé stante, quando invece è in realtà la manifestazione finale di una lunga serie di squilibri e disfunzioni sommatisi nel tempo. La vera causa dell’ernia non è da ricercare in quello starnuto o in quel pezzo di carta caduta che abbiamo raccolto da seduti, né è da ricercare in quella enorme valigia che abbiamo maldestramente sollevato. Quegli eventi rappresentano solo l’ultimo anello di una lunga catena, la goccia che fa traboccare il vaso, il prodotto finale di tanti fattori che provocano micro e macro traumi a livello del disco.
Quando esistono squilibri posturali i dischi sono costretti a deformarsi per mantenere il baricentro fisico del corpo. È una cosa, questa, del tutto naturale che però, se prolungata nel tempo, diviene logorante e patologica. Paragoniamo il disco a un palloncino pieno d’acqua. Se lo comprimiamo uniformemente dall’alto, il palloncino si deformerà omogeneamente verso la periferia. Se lo si comprime maggiormente su un lato, sporgerà nella direzione di meno resistenza ovvero verso il lato opposto. Fin lì tutto bene, quello è il suo mestiere. Il problema sorge quando queste deformazioni sono costanti e continue. Cosa può creare questi squilibri? Innanzitutto, un dislivello pelvico dovuto a dismetria agli arti inferiori; una gamba più corta dell’altra, realmente oppure apparentemente per un piede in pronazione (piede piatto) o una rotazione dell’emibacino per sublussazione.
Cosa può fare la chiropratica
La chiropratica si distingue dalle molteplici altre discipline per l’approccio riduttivo nella ricerca della vera causa del problema, sia strutturale che abitudinale. Senza trovare ed eliminare questa, ogni tentativo per risolvere la patologia risulterebbe di efficacia temporanea o potrebbe, peggio ancora, rivelarsi nullo. Le indagini di anamnesi servono per capire dove intervenire in primis. Il lavoro svolto dal paziente e il modo in cui egli lo svolge, l’attività fisica o l’assenza della stessa, le abitudini nel tempo libero, la posizione in cui dorme, le scarpe che indossa e persino gli interventi odontoiatrici cui si è sottoposto sono tutte informazioni utili nell’ottica di stabilire un programma terapeutico individuale.
Per il sistema neuromuscoloscheletrico, così come per qualsiasi altro sistema, la parola chiave è equilibrio. Quando il sistema opera in uno stato di equilibrio la probabilità di patologia si riduce al minimo. Le varie tecniche chiropratiche, con il loro specifico approccio, hanno in comune questo obiettivo: la stabilità dell’organismo. Ogni interferenza va affrontata ed eliminata. Di quali strumenti si serve il chiropratico per stabilire il programma terapeutico? Oltre ai fattori menzionati sopra, il dottore chiropratico utilizza la Risonanza Magnetica Nucleare (R.M.N.), la Tomografia Computerizzata (T.C.), le radiografie, l’Elettromiografia-Elettroneurografia (E.M.G.-E.N.G.), lo scoliosometro, il podoscopio, le osservazioni deambulatorie, opportuni test muscolari, i test neurologici e ortopedici.
La stragrande maggioranza delle ernie discali è asintomatica, non crea segni e sintomi classici percettibili; in poche parole, non provoca alcun dolore. Di solito è proprio il dolore che invita il paziente a indagare e cercare aiuto. Spesso queste ernie vengono scoperte per puro caso.
Ma quando si deve intervenire chirurgicamente? I criteri che riteniamo più adeguati sono i seguenti:
• Conferma con E.M.G.-E.N.G. di una lesione neurologica con segni di denervazione in atto. (Segnala una perdita progressiva della capacità del nervo di trasmettere impulsi; il nervo sta morendo);
• Atrofia avanzata del muscolo o dei muscoli coinvolti (grande perdita di massa e funzionalità muscolare);
• Dolore intenso e invalidante per più di tre mesi con o senza segni di neuropatia.
La decisione di intervenire chirurgicamente non deve essere dunque presa con leggerezza. I risultati possono essere deludenti. Il 35% dei pazienti che visitiamo per ernia al disco sono già stati operati. Si rivolgono al chiropratico in seguito alle famigerate recidive. Sono i casi, quelli, in cui non è stata identificata né eliminata la vera causa, lo squilibrio primario. È stato eliminato solo l’effetto finale, l’ernia discale appunto. Il chiropratico ha una visione del paziente e della patologia a 360°. Ciò significa che il paziente viene valutato nel suo insieme, con l’obiettivo di identificare l’origine della patologia e non di limitarsi alla cura dei sintomi.
Il dottore chiropratico può correggere difetti di posture e funzionalità biomeccanica, andando così a favorire la capacità innata del corpo umano a guarirsi, ma i cambiamenti comportamentali devono venire necessariamente dal paziente.
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