Il rapporto di Amnesty International descrive il clima di paura che si è instaurato nel paese a partire dal 2011, ovvero da quando le autorità hanno fatto ricorso a misure estreme per ridurre al silenzio ogni critica, dissenso e richiesta di riforme.
"Dietro una facciata sfarzosa e scintillante, gli Emirati Arabi Uniti nascondono la natura repressiva delle proprie istituzioni nei confronti di attivisti che è sufficiente postino un tweet critico per finire nei guai" – ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
"Milioni di spettatori di ogni parte del mondo vedranno il Gran premio di Abu Dhabi, nella maggior parte dei casi ignorando com'è fatta la vita di ogni giorno degli attivisti degli Emirati Arabi Uniti, anche a causa del silenzio della comunità internazionale, che preferisce gli affari alla difesa dei diritti umani" – ha proseguito Sahraoui.
Tra le persone prese di mira dalle autorità figurano avvocati, professori universitari, studenti, attivisti della società civile. Alcuni di essi sono legati all'Associazione per la riforma e la guida sociale (al-Islah), un'organizzazione popolare e pacifica che le autorità accusano di essere legata alla Fratellanza musulmana egiziana. La repressione si manifesta anche attraverso la revoca della cittadinanza e le ripercussioni nei confronti dei familiari, che si vedono bloccare l'accesso alle carriere professionali e universitarie.
Il giro di vite è iniziato nel marzo 2011, a seguito di una petizione sottoscritta da 133 persone in favore di riforme politiche, tra cui il diritto di voto per eleggere il parlamento.
Più di 100 firmatari sono stati processati per minaccia alla sicurezza nazionale o reati informatici. Oltre 60 di loro sono stati condannati a pene fino a 14 anni.
Uno di loro è Mohammed al-Roken, noto avvocato per i diritti umani, già da anni nel mirino delle autorità per aver criticato la situazione dei diritti umani nel paese e aver chiesto riforme democratiche. Sta scontando una condanna a 10 anni di carcere, inflitta al termine del cosiddetto "processo dei 94" dalla sezione per la sicurezza dello stato della Corte suprema federale.
Il "processo dei 94" è stato segnato da numerose irregolarità. Complessivamente, il sistema giudiziario degli Emirati Arabi Uniti non è indipendente né imparziale; i tribunali spesso non sembrano far altro che mettere il timbro su decisioni prese dal potere esecutivo. In molti casi, i processi di basano su "confessioni" estorte ai detenuti, che non possono vedere gli avvocati né presentare appello contro le condanne.
Un altro caso è quello di Osama al-Najjar, un attivista di 25 anni arrestato nel marzo 2014 per aver scritto su Twitter a proposito dei maltrattamenti subiti da suo padre, Hussain Ali al-Najjar al-Hammadi, e da altri prigionieri politici della prigione al-Razeen, ad Abu Dhabi. Dopo l'arresto, Osama al-Najjar è stato posto isolamento e, secondo quando ha denunciato, è stato picchiato e preso a pugni sul volto e sul corpo e minacciato di essere torturato con le scariche elettriche.
Suo padre, arrestato nel 2012, sta scontando una condanna a 11 anni di carcere per vaghe imputazioni relative alla sicurezza nazionale. Nei primi otto mesi dall'arresto, è rimasto in isolamento in condizioni equivalenti a una sparizione forzata.
Alcuni prigionieri hanno denunciato di essere stati sottoposti a maltrattamenti e torture durante gli interrogatori. Tra i metodi riferiti, lo strappo delle unghie, la rasatura della barba e del petto, i pestaggi, la sospensione a testa in giù per lunghi periodi di tempo e le minacce di scariche elettriche, stupro e morte.
Il rapporto di Amnesty International contiene una serie di richieste urgenti alle autorità degli Emirati Arabi Uniti: cancellare le leggi che criminalizzano l'esercito pacifico dei diritti alla libertà d'espressione e d'associazione, compresa la legge sui reati informatici e la nuova legge antiterrorismo dell'agosto 2014; porre immediatamente fine agli arresti e alle condanne dei prigionieri di coscienza e alle sparizioni forzate; condannare pubblicamente la tortura e prendere misure efficaci per proibirla e prevenirla; indagare in modo indipendente e imparziale sulle denunce di tortura e portare i responsabili di fronte alla giustizia.
Le autorità degli Emirati Arabi Uniti hanno risposto alle preoccupazioni espresse nel rapporto di Amnesty International affermando che la promozione dei diritti umani è "un processo in corso".
"Gli Emirati Arabi Uniti non possono proclamare di essere una nazione progressista o vantarsi di far parte del Consiglio Onu per i diritti umani e un partner economico di livello internazionale e contemporaneamente chiudere in carcere chi si limita a esprimere pacificamente le sue idee. Le autorità devono mostrare il loro reale impegno verso i diritti umani attraverso misure rapide e concrete e non giri di parole che servono solo a oscurare la spietata repressione interna" – ha concluso Sahraoui.
Il rapporto "There is no freedom here" Silencing dissent in the United Arab Emirates (UAE) è disponibile all'indirizzo:
http://www.amnesty.it/Emirati-Arabi-Uniti-Gp-Formula-1-repressione-spietata-dietro-una-facciata-sfarzosa-e-scintillante
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