Dimostrata l’efficacia del nuovo anticoagulante orale edoxaban anche a basso dosaggio in un sottogruppo di pazienti affetti da Fibrillazione Atriale non valvolare a più alto rischio.
Roma, 8 settembre 2014 – Nella cornice del congresso della Società Europea di Cardiologia, Daiichi Sankyo ha presentato i nuovi promettenti risultati del trial clinico di fase 3 ENGAGE AF-TIMI 48, che dimostrano l’efficacia del nuovo anticoagulante orale edoxaban anche a basso dosaggio in un sottogruppo di pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare (FANV) che presentavano ulteriori fattori di rischio emorragico.
“E’ la prima analisi su un nuovo anticoagulante orale che valuta il rapporto tra dose, concentrazione, attività di inibizione del fattore Xa di edoxaban e la sua efficacia, ponendo il tutto in relazione con l’incidenza degli eventi emorragici” - ha spiegato il dott. Christian Ruff, ricercatore nel TIMI study group e professore assistente alla facoltà di medicina di Harvard - “Abbiamo somministrato una dose ridotta di edoxaban a pazienti che presentavano fattori clinici di rischio predeterminati che potevano accrescere il rischio di emorragie a causa dell’alta esposizione al farmaco. L’analisi ha dimostrato che mentre la concentrazione di edoxaban e l’attività di inibizione del fattore Xa erano ridotte in questi pazienti, i tassi di ictus ed eventi embolici sistemici erano coerenti con quelli di coloro che non ricevevano una dose ridotta, con una maggior riduzione relativa delle emorragie rispetto al gruppo a cui era stato somministrato il trattamento con warfarin”
Lo studio ENGAGE AF-TIMI 48 confronta due regimi di edoxaban in monosomministrazione giornaliera – uno ad alto dosaggio (60 mg o dose ridotta a 30 mg) ed uno a basso dosaggio (30 mg o dose ridotta a 15 mg) – con il trattamento a base di warfarin, per un periodo medio di 2,8 anni. I risultati presentati all’ESC 2014, spingono oltre l’analisi mettendo in relazione i tassi di sanguinamenti maggiori e l’ efficacia di edoxaban rispetto a warfarin contro ictus ed eventi embolici sistemici (EES), stratificandoli in base alla riduzione del dosaggio.
Al 25,4 % dei pazienti randomizzati con edoxaban, infatti, è stata somministrata una dose ridotta sulla base di fattori clinici predeterminati che potevano accrescere il rischio di emorragie a causa di una maggiore esposizione al farmaco, come clearance di creatinina 30-50 mL/min, peso corporeo uguale o inferiore a 60 kg, o uso concomitante di inibitori della glicoproteina P.
Dall’analisi si evince che nel regime ad alto dosaggio di edoxaban, la riduzione del rischio relativo di ictus o EES, rispetto al warfarin, nei pazienti trattati con 60 mg (hazard ratio [HR], 0.78; 95% confidence interval [CI], 0.61- 0.99) è coerente con quella riscontrata nei pazienti trattati con un dosaggio ridotto a 30 mg (HR, 0.81; CI, 0.58 – 1.13) (edoxaban p-interaction=0.85).
Una incidenza numericamente inferiore di sanguinamenti maggiori rispetto al warfarin,si è riscontrata nei pazienti trattati con queste opzioni di dosaggio (HR 0.88; 95% CI, 0.76 – 1.03 e HR 0.63; 95% CI, 0.50 – 0.81 rispettivamente) di edoxaban con una riduzione relativa maggiore riscontrata nel gruppo che ha ricevuto la dose ridotta di 30 mg(edoxaban p-interaction=0.02).
“I risultati di questa analisi sono interessanti, poiché gettano ulteriore luce sulle modalità con cui la riduzione del dosaggio di edoxaban impatta su concentrazione del farmaco e attività di inibizione del fattore Xa in un determinato momento (un mese dopo la randomizzazione) in un sottogruppo di pazienti arruolati nel trial ENGAGE AF-TIMI 48” ha concluso il dott. Mahmoud Ghazzi, Vice Presidente esecutivo e Capo del dipartimento globale di ricerca e sviluppo Daiichi Sankyo.
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