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mercoledì 22 settembre 2010

Balconing Vs Parkour: salti da brivido ma di diversa “sostanza”.

Parkour e balconig, due sfide al vuoto gravitazionale per superare i propri “limiti”. Due modi diversi di interpretare l’idea cui si fonda il tutto: il “salto” che da l’adrenalina. Oltrepassare qualsiasi ostacolo che ci si trova davanti, adattando il proprio corpo all’ambiente in modo “alternativo” (con salti, fughe, arrampicate e torsioni incredibili), per sfruttare lo spazio e i suoi ostacoli in maniera efficiente, il primo. Lanciarsi nel vuoto dal balcone di un hotel strafatti di droghe e alcool, per rendere “interessante” una vacanza altrimenti ordinaria, il secondo. Due fenomeni uniti dal salto, ma diversi tra loro nella filosofia, ma che negli ultimi anni da “alternativi” sono balzati agli onori della cronaca popolando Youtube con centinaia di video e cultori a seguito. Il “balconing” è un misto tra bungee jumping ( il legarsi a una corda elastica per saltare nel vuoto da un ponte o una gru) e il base jumping ( il buttarsi da un dirupo o dai tetti di un grattacielo dopo la “scalata” e aprire il più tardi possibile il paracadute). E ’ un misto tra le due discipline estreme, certo. Roba da matti diranno in molti. Da idioti aggiungiamo noi. Perché nel balconing c’è un dettaglio non irrilevante. La corda di sicurezza non esiste e nemmeno il paracadute. A dettare le regole del gioco è solo il tasso alcolemico o la quantità di droga che il corpo è riuscito ad assumere per tutta la notte. Poi nella “quasi inconsapevolezza” si apre la finestra della propria stanza d’albergo, si “punta” la piscina della hole d’ingresso e ci si butta giù. Convinti di fare solo un bel tuffo in piena notte o alle prime luci dell’alba. Magari filmando il tutto per rivedersi sul web. Quasi un coronamento di una serata da sballo. Un gioco stupido perchè mortale come dimostrano le cronache di oggi dalle località estive frequentate solitamente dai giovanissimi: Palma di Mallorca e Ibiza in testa. Sono soprattutto gli inglesi (gli alfieri del “binge drinking” ossia del bere fino al coma etilico per “svegliarsi” al pronto soccorso) gli inventori e le vittime principali del balconing. Stereotipi a parte (visto che si parla di inglesi), da giugno ad agosto dell’estate appena trascorsa, in una trentina di salti dal balcone ci sono state quattro vittime. Dal 2008, cioè da quando saltare dal balcone è diventato moda, di tuffi da una sola chance ce ne sono stati altri 7. Gli altri casi di salti sbagliati contemplano gravi paralisi e colonna vertebrale gravemente compromessa. La moda da brivido conosciuta come balconing è questo. Idiozia allo stato puro. Il parkour è altro. Movimenti originali certo, perché molto acrobatici. Ma arte di adattamento del proprio corpo allo spazio che ti circonda. Efficienza dei propri movimenti per superare l’ostacolo. Il parkour assomiglia al percorso di un soldato in addestramento. C’è un ostacolo (che sia un muro, una grata, un’inferriata, una scala)? Bisogna superarlo. Come? Unicamente con mani e piedi. In che modo? Adattandosi per far sì che lo stesso ostacolo diventi “appiglio” per andare oltre. Nato in Francia negli anni 80, la creatura di David Belle si è diffusa nel mondo e anche in Italia negli ultimi anni sono nate molte associazioni di “traceurs”. Ossia “quelli che fanno il tracciato”. Dal passaparola della crew a Youtube il passo è stato breve. Al di là della moda, le differenze tra il parkour e il balconing sono molte. Innanzitutto rispetto al salto dal balcone, il PK (abbreviazione di Parkour) non è solo uno sport (visto che prevede allenamento lento, graduale ma costante per migliorare le proprie capacità atletiche); Ma ha anche un’idea genuina di fondo: conoscere i propri limiti per superare gli ostacoli. Capire ciò che ti circonda per “muoverti” in maniera più veloce. Ma in sicurezza: sfruttando cioè quello che l’ambiente in cui ti trovi è in grado di offrirti. Il parkour è questo: analizzare criticamente gli ostacoli, interpretando le proprie sensazioni e trovare la combinazione giusta per superare la barriera, la difficoltà, nel modo più semplice e fluido. Una disciplina insomma a metà strada tra arti marziali, filosofia orientale e sport estremo. Ma che ha un’idea, quella del percorso ad ostacoli da oltrepassare contando esclusivamente sulle proprie forze che è un pò l’idea stessa della vita.

Daniele Memola (giornalista freelance)

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