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sabato 14 novembre 2015

FIGLI DI UN DIO MINORE - recensione



GIORGIO LUPANO  RITA MAZZA

FIGLI DI UN DIO MINORE

traduzione di LORENZO GIOIELLI

scene e costumi di ANDREA STANISCI

regia di MARCO MATTOLINI 



DAL 10 AL 22 NOVEMBRE 2015

SALA UMBERTO

Via della Mercede, 50 Roma

Tel. 06 6794753

www.salaumberto.com

Martedì ore 21, mercoledì ore 17, giovedì e venerdì ore 21, sabato ore 17 e 21 domenica ore 17


Il testo teatrale “Figli di un Dio minore” di Mark Medoff è stato scritto nel 1978 e messo in scena negli Stati Uniti nel 1980: quella versione in lingua inglese fu ospitata al Festival dei Due Mondi di Spoleto sempre nel 1980 (unica rappresentazione di questo testo in Italia), mentre la trasposizione cinematografica, interpretata da William Hurt, meritò nel 1986 cinque nomination agli Oscar e la protagonista femminile Marlee Matlin vinse per quell’interpretazione l’Oscar e il Golden Globe. Gli anni nulla hanno potuto sull'attualità e la freschezza di un testo, tuttora inedito nel nostro Paese, che ha oggi la forza di un classico contemporaneo.

Infatti l'argomento della commedia, che racconta le difficoltà della conoscenza e poi dell'amore fra James, insegnante logopedista e Sarah, giovane ex allieva dell'Istituto per sordi in cui lavora come cameriera, travalica lo specifico della distanza fra i mondi degli udenti e dei non udenti, per diventare emblema del confronto fra le tante solitudini legate alle diverse appartenenze sociali e culturali.

In un Istituto per sordi arriva un nuovo insegnante di logopedia. È James Leeds, un giovane i cui 
metodi anti-convenzionali e diretti sono guardati con sospetto dal direttore che lo esorta subito a non essere troppo "creativo" nell'insegnamento. Leeds va avanti per la sua strada ed i risultati del suo empatico rapporto con gli allievi non tardano ad arrivare. Ma la vera sfida per il professore è 
rappresentata da Sarah, una giovane donna, bella, intelligente e sorda dalla nascita. La ragazza 
accolta dalla scuola fin dall'infanzia vi si è diplomata ed ha poi deciso di rimanere lì, dentro i confini del suo mondo di silenzio, accettando un lavoro da cameriera. Si sente più sicura in mezzo alla "sua gente" e preferisce non affrontare l'esterno, una realtà che percepisce come ostile e crudele. "La sordità - risponderà a Leeds che cerca di farla uscire dal suo isolamento volontario - non è il contrario dell'udito. È un silenzio pieno di suoni". Sarah ha un carattere forte, è spigolosa, introversa. Fiera della sua diversità si rifiuta di parlare perché, non avendo mai conosciuto il suono della voce umana, sa di non poter farlo bene come gli altri, non usa la lettura delle labbra, nonostante la conosca, e si esprime solo attraverso la lingua dei segni. Nonostante la dichiarata ostilità della ragazza ad ogni integrazione comunicativa, Leeds non si arrende e Sarah sembra volerlo mettere ogni volta alla prova. L'uomo incontra la madre di lei, che non ha un buon rapporto con la figlia, la cui diversità ritiene abbia determinato il fallimento del suo matrimonio, e le chiede aiuto, ma invano. Le particolari attenzioni che il logopedista rivolge all'ex-allieva non sono viste di buon occhio né dal direttore, né da due giovani audiolesi che vivono nell'Istituto: Orin (che teme l'influenza del professore possa distogliere Sarah dalla causa della difesa dei non udenti) e Lydia, che, infatuata del professore, è  gelosa del sentimento che lui nutre per l'amica. Nonostante, e forse proprio per questo, Sarah e James finiscono per innamorarsi anche se la loro relazione deve superare molti ostacoli…

L’allestimento di “Figli di un Dio minore” sarà un’importante occasione per il teatro italiano. 
Un’occasione di confronto fra universi comunicativi separati e sovrapposti, in rapporto con le    relative implicazioni umane, sociali e pedagogiche.  Il progetto prenderà il via da un laboratorio dedicato a giovani interpreti, sordi o con l’udito parzialmente danneggiato, attori udenti e ad esperti della lingua dei segni  e  delle  tematiche  delle  diverse  abilità e  avrà  come  oggetto  lo studio  del  testo e  delle potenzialità espressive del doppio binario fra lingua dei segni e comunicazione orale.  

Di fronte alla necessità di esprimere in forma teatrale la stessa emozione, come si comporta un attore udente? Come un attore sordo? Partendo da un testo scritto, come tradurlo sul doppio binario della  comunicazione orale e dei segni? Come rendere efficace la compresenza di sordi e udenti sia sulla scena che nel pubblico? In sintesi come comunicare tra mondi separati e compresenti nella stessa società? Sono solo alcune delle domande alle quali si cercherà di rispondere in funzione della successiva fase delle prove e della messa in scena.  Una struttura scenica essenziale, che si compone, si trasforma e crea i diversi luoghi deputati della vicenda, una colonna sonora e musicale sobria ed efficace marcheranno le differenze ed il sottile varco di comunicazione fra i due mondi.

Tutte le fasi del lavoro, dalla prima parte laboratoriale fino all’allestimento vero e proprio, sono 
concordate, supportate e realizzate con la collaborazione dell'ISSR, Istituto Statale dei Sordi di Roma, che metterà a disposizione dello spettacolo personale (mediatori culturali, insegnanti di Lingua Italiana dei Segni), materiale didattico, aiuto nella ricerca degli attori con l'udito danneggiato, spazi, ed ogni tipo di mezzo per la promozione e divulgazione dello spettacolo presso le comunità di sordi nelle diverse città dove Figli di un Dio Minore sarà rappresentato.




Stolti, perché non sanno quanto più grande è la metà dell'intero” (Esiodo, Le opere e i giorni, v. 40). Nonostante la loro veneranda età – 2800 anni – queste parole hanno il potere di illuminare il sipario di uno spettacolo che incanta sin dai suoi primi istanti, quando lo spettatore viene avvertito delle conseguenze del suo starsene seduto a guardare nelle successive tre ore: “I non udenti non capiranno tutto e neanche gli udenti”. Ed è questa la ricchezza inattesa – andando a teatro, di martedì sera – di “Figli di un Dio minore”: trovarsi faccia a faccia con la rassegnazione di non poter capire tutto. Perché questa è una storia di tutti, sordi e normo-udenti, una storia fifty-fifty, che porta alla piacevole scoperta del comprendere, più che del capire. Della condivisione, Esiodo aveva ragione.

Sarah (Rita Mazza) è l'alunna difficile di James (Giorgio Lupano), giovane logopedista dai metodi innovativi, spesso sgraditi all'istituto in cui lavora e al suo direttore. La ragazza, sorda, preferisce continuare a svolgere mansioni di pulizia all'interno della scuola, piuttosto che affrontare un auspicabile percorso di riabilitazione linguistica. Ma James, convinto sostenitore della rieducazione dell'allieva e appassionato sognatore, comincia una dolce battaglia alla riconquista della parola, parlata e non.

Magistrale l'interpretazione di Lupano – sorprende, abituati a vederlo nei più limitanti ruoli impersonati sul grande schermo – che parla, gesticola, segna e si muove con un'agilità ed una naturalezza quasi atletiche. La sua straordinaria spontaneità interpretativa ha il potere di restituire alla figura del docente il rispetto e l'importanza sociale che troppo spesso, oggi, si vede depauperata e relegata ai margini di un mondo che, semplicemente, dimentica. E così la risemantizzazione della parola si carica di valori ancora più intensi. Lupano domina il palcoscenico con una coordinazione e una memoria straordinarie, che gli permettono di tenere in piedi frenetici dialoghi bilingui – parla e contemporaneamente si esprime in italiano segnato - per più di 150 minuti. Intorno a lui ruota una giostra di abili spalle, che rallegrano, vivacizzano, spassano e a tratti commuovono. E' il “deaf power”, la rivolta dei sordi, che urla attenzione – e non è poi così difficile ascoltarla – verso un mondo impigrito, annoiato, fiacco. Le due metà si incontrano e si scontrano, Sarah è il ponte che unisce e divide, a tratti la battaglia sembra persa: non si può entrare nella testa di una persona che non parla. Ma quando Bach inonda di vibrazioni il teatro e James e Sarah si accasciano ai piedi dello stereo, allora si ha l'impressione che tutti, normo-udenti e non, possano sentirsi vicini alla bellezza di quello che viene definito il linguaggio universale: la musica. Che essa passi per i timpani o attraverso le mani e la punta del naso, poco importa. Le onde che infrangono l'aria sono le stesse.

Figli di un Dio minore” è la coraggiosa trasposizione italiana del testo di Mark Medoff, sensibilmente tradotto dalla penna di Lorenzo Gioielli. Un lavoro importante, che avvicina i normo-udenti a un mondo forse oggi più conosciuto, ma non ancora del tutto integrato. Ne è la triste prova la stessa Rita, costretta a emigrare dall'Italia per intraprendere la sua carriera di attrice, in un paese che fino ad oggi non le aveva dato la possibilità di esercitare liberamente la sua professione. Ed è invece alla Mazza, insieme ai suoi colleghi sordi, che si deve il merito di aver reso meno teatrale una cosa così teatrale come il teatro. Di aver portato il gesto sul piano della parola, di aver rimescolato il rumore con il silenzio e aver riconvertito lo spettatore – che spesso ascolta distratto - a verospettatore (da “specto”, latino, guardare, osservare), che ascolta sì, ma soprattutto osserva con attenzione.  (recensione di Marina Carbone)

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