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mercoledì 23 dicembre 2015

Avvocato Sergio Lupinacci, COP21 la responsabilità della generazione presente

“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare” (Andy Warhol)
Sergio Lupinacci *
Parliamo – soprattutto in questi giorni di COP 21 – di sviluppo sostenibile. Chiariamo subito che l’attributo della sostenibilità, imposto allo sviluppo, prescrive la difesa di un’integrità dell’ambiente, funzionale al benessere delle collettività attuali e delle discendenze future. Ed in qualche modo si afferma pertanto la responsabilità della generazione presente nel mettere in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano la tutela del diritto al cibo,ad esempio, anche per le generazioni future. Ma andiamo con ordine seguendo il percorso di un’analisi condotta recentemente dai ricercatori del Milan Center for Food Law and Policy di Livia Pomodoro (www.milanfoodlaw.org) .
COP21 Sergio Lupinacci
L’Avvocato Sergio Lupinacci ritiene che è stata la Conferenza di Stoccolma del 1972 a segnare un vero e proprio cambio di passo nella questione ambientale, affrontandone per la prima volta il problema in forma integrata e globale. E Lupinacci continua affermando che dieci anni dopo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la World Commission on Environment and Development, composta dai rappresentanti di 21 Paesi che, con il rapporto Brundtland (1987), danno dell’aggettivo sostenibile, abbinato al termine sviluppo, una definizione divenuta canonica: ”(…) capace di soddisfare le necessità del presente senza compromettere le opportunità delle generazioni future”. Nel giugno del 1992, poi, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tiene, a Rio de Janeiro, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo che si concluderà con la sottoscrizione del programma d’azione “Agenda 21”. Gli anni ’90 segnano il protagonismo dell’Europa. Nel 1992 il principio dello sviluppo sostenibile è recepito nel Trattato di Maastricht e in accoppiata con la tutela ambientale compare anche nella Costituzione Europea. Il suo Preambolo, infatti, esordisce proclamando la volontà di operare “nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra”. Il diritto italiano ha codificato questo principio in numerose fonti primarie e secondarie, così come in leggi di ratifica di numerose convenzioni internazionali. Di più: altre Convenzioni ratificate dal nostro Paese annunciano la finalità di salvaguardia degli interessi delle generazioni future. E dunque la comparsa dell’ottica intergenerazionale, impressa alle istanze di salvaguardia ambientale, chiarisce come l’ordinamento estenda il proprio interesse all’ambiente dell’uomo in quanto specie. E il principio di sviluppo sostenibile esprime la coscienza di questa antitesi che – se si tratta di uso delle risorse naturali – oppone ora benefici su scala generazionale ad interessi localizzati, nel tempo e nello spazio. E chiama in causa un ulteriore principio: quello dell’equità intergenerazionale, secondo cui il pianeta deve essere consegnato alle generazioni future in condizioni non peggiori rispetto a quelle in cui noi lo abbiamo ereditato.
UNA NUOVA ETICA DELL’AMBIENTE È POSSIBILE?
Noi che abbiamo assunto il ruolo di custodi di un patrimonio per poterlo trasferire, dare in eredità alle generazioni future. Una responsabilità, un dovere che si traduce nel diritto delle generazioni future di poter usufruire dello stesso tipo di risorse e servizi ecologici di cui noi abbiamo beneficiato. E che finisce per incidere sullo sviluppo del diritto internazionale dell’ambiente: la considerazione degli interessi delle generazioni future non implica soltanto l’affermazione di nuovi criteri nella gestione delle risorse ambientali. Essa impone l’affermazione di una nuova etica, da tempo invocata sia in diversi strumenti delle Nazioni Unite, come la Millennium Declaration del 2000 o il Piano di Attuazione del vertice di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile del 2002, sia in dottrina. Assistiamo dunque ad un lento e faticoso passaggio di questo principio dalla fase del confronto scientifico a quella della produzione normativa, indice e spia di come il diritto divenga sempre più strumento di regolazione sociale.
LA TUTELA DELLE GENERAZIONI FUTURE
Si fanno dunque sempre più numerosi i richiami alle generazioni future. La Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale approvata dall’UNESCO nel 1972, all’art. 4 stabilisce: “ognuno degli Stati facenti parte della presente Convenzione riconosce che l’obbligo di identificare, proteggere, reintegrare e trasmettere alle generazioni future il patrimonio culturale e naturale sito nel proprio territorio deve essere una incombenza primaria”. Si tratta di un documento giuridicamente non vincolante, ma di enorme rilevanza politica ed etica.
Mentre nel diritto internazionale dell’ambiente i richiami alle generazioni future sono costanti e molte Costituzioni entrate in vigore negli ultimi decenni fanno espresso riferimento alle generazioni future, quasi sempre in relazione alla tutela dell’ambiente e alle eredità storica e culturale. Tra queste le Costituzioni di:Guyana, Brasile, Namibia, Cuba, Argentina, Georgia, Sudafrica, Polonia, Albania, Sudan, Mozambico. Ed anche l’art. 20a della Costituzione tedesca, introdotto nel 1994, recita: “Lo Stato, tenendo conto della sua responsabilità verso le generazioni future, protegge le basi naturali della vita umana e gli animali”. Ma è stata l’America Latina la prima ad intraprendere il percorso verso una nuova comprensione ambientale, con una novità rispetto alle tradizionali concezioni giuridiche: il riconoscimento di veri e propri diritti in capo alla Natura. Le periferie del mondo si riscoprono, dunque, avanguardia per il riconoscimento dei diritti della natura e del diritto alla sopravvivenza della vita. Questo diritto declinato per eccellenza al futuro fa irrompere l’etica della responsabilità nel mondo complesso della regolazione. A Parigi è stato infine presentato l’Italian Youth Declaration on Intergenerational Equity, un documento dei nostri ragazzi, parte dell’Intergenerational Equity working group, contenente proposte per rendere operativo il principio.
* avvocato penalista
(www.studioalc.it)
FONTEThe Chronicle

mercoledì 25 novembre 2015

Avvocato Sergio Lupinacci, Rifugiati Politici “Oltre l'Europa della paura"

“Non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene” (Denis Diderot)
Sergio Lupinacci *
Lupinacci sostiene che la tempesta migratoria che sta colpendo l’Europa negli ultimi anni, e con sempre maggiore intensità, da quando le carestie dal sud del mondo si sono saldate con i sanguinosi esiti delle primavere arabe, porta inevitabilmente la nostra attenzione sull’archetipo giuridico costruito dalle istituzioni comunitarie a protezione dei rifugiati. E l’avvocato Lupinaccicontinua affermando che nella percezione delle opinioni pubbliche – complice la semplificazione prodotta dal confronto politico – l’immigrazione non conosce “distinguo” tra l’illegalità dell’immigrato economico e il diritto dei rifugiati alla fuga dalle dittature.
Sergio Lupinacci Rifugiati politici
Il rifugiato politico: definizione e fonti giuridiche. Sergio Lupinacci afferma che la definizione di rifugiato politico è contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951, un Trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 Paesi. All’articolo 1 della Convenzione, la definizione della condizione di “rifugiato”: una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale Paese”. Questo articolo 1 illustra dunque la procedura di valutazione delle domande di asilo, ossia quelle incombenze che ricadono su chi ha la responsabilità di decisione ultima sulla concessione o meno dell’asilo politico.
Chi decide dell’asilo: il Regolamento “Dublino”. L’avvocato Lupinacci ritiene che un’attenzione particolare meritano le cosiddette procedure “Dublino” (introdotte col Regolamento UE n. 604/2013) condivise da 32 Stati europei. Queste hanno l’obiettivo di individuare lo Stato competente per la valutazione della domanda di asilo, limitando la mobilità dei richiedenti allo Stato nel quale sono approdati per primi, fino al completamento della procedura. Se la verifica sulla titolarità della domanda dovesse attribuire la competenza ad un altro Stato, il richiedente dovrà esservi trasferito. Qui una prima controversia determinata alla moltiplicazione dei numeri dei richiedenti. Che ha portato, in particolare, gli Stati che formano le frontiere esterne dell’Unione a chiedere la ricollocazione dei rifugiati, suddivisi in quote parte, tra tutti i Paesi membri. È recentemente accaduto per i 40.000 richiedenti asilo tra i paesi dell’UE con trasferimento di emergenza per quelli provenienti da Italia, Grecia e Ungheria: con una proposta della Commissione Europea estesa anche all’introduzione di un meccanismo permanente che modifichi le norme di Dublino (che determinano appunto quale Stato membro è responsabile del trattamento delle domande d’asilo).
Quanti sono i rifugiati. Un passo indietro: per ottenere lo status di rifugiato, i richiedenti asilo devono dimostrare alle autorità europee che stanno scappando da una guerra o da una persecuzione e che non possono tornare nel loro paese d’origine. Quanti casi ci sono in Europa? Il numero delle richieste di asilo è aumentato nel 2014 salendo da 435.190 nel 2013 a 626.065 nel 2014. Nel 2014 il numero di richiedenti asilo dalla Siria è raddoppiato. I Siriani sono il 20 per cento dei richiedenti asilo. Il secondo gruppo è rappresentato dagli afghani con il 7%. Nel 2014 l’asilo è stato garantito a 163mila persone nell’Unione europea. Nel 2014 la Germania è il paese che ha concesso più volte l’asilo con 41mila richieste approvate, seguita dalla Svezia con 31mila richieste approvate. Nel 2014 l’Italia ha accolto 21mila richieste d’asilo.
Libertà e sicurezza. Non possiamo, sinceramente, non partire da qui, se vogliamo affrontare il tema dei principi fondamentali ispiratori dell’azione dell’Unione Europea, con le garanzie procedurali introdotte e le modalità di accesso del diritto alla difesa accordato ai richiedenti asilo. Parliamo di sincerità perché ciò che appare come il prodotto di un cammino politico intenso compiuto dagli organi legislativi europei mostra – di fronte a questa “terza guerra mondiale” – tutte le contraddizioni di un approccio liberale costretto ora a fare i conti con il cambiamento radicale del contesto internazionale. La priorità: il tema della sicurezza che già aveva suonato i campanelli d’allarme di opinioni pubbliche sempre meno disposte – complice il perdurare della crisi economica – a politiche di accoglienza. Fino a pochi mesi fa il Regolamento Dublino aveva ricevuto numerose critiche (in particolare dal Consiglio europeo per i rifugiati e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati): perché il sistema attuale non fornirebbe una protezione equa ed efficiente ai richiedenti asilo, costretti ad aspettare anni prima che le loro richieste siano esaminate; di più: non terrebbe conto del ricongiungimento familiare e comporterebbe una pressione maggiore sugli Stati membri del sud dell’Europa,Paesi d’ingresso nel continente. Critiche rapidamente evaporate di fronte alla forza dei numeri. Ma è indubbio che, dopo gli attentati di Parigi, per usare le parole del filosofo USA liberale, Michael Walzer: “I rifugiati che scappano da una guerra civile terribile non possono diventare le vittime di questa situazione, ma non si possono non affrontare le richieste di sicurezza che provengono dalla gente”. Sulla domanda d’asilo l’ordinamento europeo e la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) stabiliscono il principio insuperabile per cui il richiedente deve avere a disposizione una procedura di asilo efficace, corredata da mezzi di ricorso dotati della forza sospensiva dell’azione di allontanamento nel caso di rifiuto. La disciplina è stata integrata dal rilevante contributo giurisprudenziale apprestato dalla Corte EDU (Europea Diritti dell’Uomo). Il panorama legislativo e giurisprudenziale analizzato rivela, da parte delle istituzioni europee, una profonda sensibilità verso la drammatica condizione dei richiedenti asilo. Una sensibilità tradottasi nell’adozione di procedure complesse, assai attente alla condizione soggettiva dell’individuo e del suo patrimonio culturale d’origine. La domanda che sorge ora è quanto questo quadro di valori, presidio della convivenza democratica, possa tenere di fronte all’imbarbarimento in atto e soprattutto di fronte all’inversione di valori che vede ora il bisogno di sicurezza presidiare l’esercizio delle libertà civili. La disciplina che presiede alle procedure d’asilo (2013/32/UE) individua importanti, delicati momenti: dal colloquio all’esame della domanda (direttiva qualifiche; 2011/95/UE); dai tempi della decisione al diritto di difesa o accesso alla giustizia, alla possibilità, infine, per il migrante di ricorrere.
Un’Europa politica. Si tratta però – bisogna osservare – di una descrizione lineare e bipolare della condizione di rifugiato che le guerre asimmetriche del XXI secolo sembrano complicare quando non travolgere. L’esperienza siriana, ad esempio, prima della “riduzione” delle forze in campo che probabilmente la risposta militare all’ISIS imporrà, ha fin qui mostrato una babele di gruppi. Ed a fronte della gran massa di rifugiati, in fuga dalla morte e dalla fame, vanno segnalati i falsi rifugiati che gli attacchi di Parigi hanno rivelato così come la dinamica di scambio di ruolo perseguitato-persecutore che molti individui hanno vissuto e interpretato nella guerra siriana. Non dobbiamo certo buttare il bambino dei valori della costruzione europea, in questa partita, ma trovare il modo di depurare l’acqua sporca e compiere uno sforzo importante: quello della condivisione dei dati e di tutte quelle informazioni che rendano impossibile, ad esempio in questa materia, un “colloquio insincero”. Un passaggio, quest’ultimo, rivelatore anche della volontà dell’Europa di farsi finalmente Europa politica.
* avvocato penalista
(www.studioalc.it)
FONTEThe Chronicle

martedì 17 novembre 2015

Sergio Lupinacci: Stadi, Velocità e sicurezza ecco cosa dice la legge

Legge stadi, il parere di Sergio Lupinacci, avvocato penalista. La legge di Stabilità 2014 ha introdotto – come è noto – nell’ordinamento nazionale disposizioni che consentono l’ammodernamento e la costruzione di impianti sportivi ed in particolare di stadi di calcio. La “legge stadi” (art. 1 comma 304 – 306), consente ora l’adozione di una procedura amministrativa con tempi rigidi e ravvicinati, destinati a facilitare lo sviluppo di progetti imprenditoriali da parte di investitori privati in accordo con le società sportive o progetti direttamente presentati da parte di queste ultime.
Velocità e sicurezza: cosa dice la legge. La nuova legge, che semplifica le procedure amministrative e offre modalità innovative di finanziamento – commenta l’avvocato Sergio Lupinacci – intende tutelare la sicurezza degli impianti e degli spettatori, in continuità con quanto previsto dal decreto legge n. 119/2014 (convertito in Legge n. 146/2014), introducendo misure straordinarie per la repressione di fenomeni di violenza ed illegalità durante lo svolgimento delle competizioni sportive.
Il cantiere dello Juventus Stadium
Il cantiere dello Juventus Stadium
La legge stadi prevede ora che chi intenda realizzare l’impianto sportivo dovrà presentare al Comune interessato uno studio di fattibilità, da valere quale progetto preliminare, corredato di un piano economico finanziario e dell’accordo con una o più associazioni sportive utilizzatrici l’impianto in via prevalente.
Valutato il progetto – prosegue Lupinacci – il Comune deve dichiarare il pubblico interesse della proposta entro il termine di 90 giorni dalla presentazione dello studio, indicando eventualmente le condizioni necessarie per ottenere i successivi atti di assenso sul progetto.
Sulla base dell’approvazione del progetto preliminare, il proponente deve presentare il progetto definitivo al Comune, che dovrà deliberare in via definitiva entro 120 giorni dalla presentazione del progetto; nel caso la competenza spetti alla Regione la delibera dovrà esser presa entro 180 giorni così da determinare la dichiarazione di “pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’opera medesima”.
Una stretta di mano tra Renzi e De Laurentiis e finisce l’era degli stadi lumaca. Per concludere: l’intero iter amministrativo dovrebbe essere completato in 12 – 15 mesi,contro i 4-5 anni di attesa cui eravamo abituati. La legge – aggiunge Sergio Lupinacci – introduce poi la possibilità per lo stesso Consiglio dei Ministri, in caso di decorrenza infruttuosa dei termini per l‘approvazione del progetto da parte dell’ente territoriale competente, di adottare i provvedimenti necessari.
Lo Juventus Stadium
Lo Juventus Stadium
Un nuovo sviluppo economico per le aree sportive. Oltre alla accelerazione dei tempi burocratici, la legge dovrebbe occuparsi anche dello sviluppo dell’area circostante al nuovo stadio, prendendo esempio dalle esperienze di altri Paesi – la Gran Bretagna prima di tutto – dove accanto al complesso sportivo sorgono esercizi commerciali e servizi, in grado di attrarre un numero elevato di consumatori e turisti.
Lo studio di fattibilità potrà quindi prevedere “atti di intervento strettamente funzionali alla fruibilità dell’impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico – finanziario dell’iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici”(con esclusione della realizzazione di complessi residenziali).
D’altronde, è innegabile che, ad oggi, il rilancio dell’impiantistica sportiva non possa prescindere dall’intervento di capitali privati che dipendono dalla possibilità, per chi investa, di ottenere un certo equilibrio finanziario tra costi di realizzazione e di gestione dell’impianto e ricavi attesi; ricavi che per essere appetibili dovranno necessariamente essere maggiori di quelli derivanti dalla sola vendita dei biglietti dell’evento sportivo.
L’auspicio – conclude Lupinacci – è ora che la legge possa convincere le società a presentare e a definire progetti di ammodernamento e costruzione di complessi sportivi in grado di competere con gli stadi europei, incentivando così un crescente investimento privato nel Paese.
Sergio Lupinacci, avvocato penalista
(www.studioalc.it)
FONTEThe Chronicle

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