Attorno ai sepolcri martiriali, recuperati durante il Pontificato di Papa Damaso (366-384), si sviluppa immediatamente una forma esponenziale di venerazione, che produce come effetto immediato la creazione di aree cimiteriali estremamente concentrate, definite retrosanctos.
Monsignor Giovanni Carrù, Segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, tratta in questo articolo come questi sepolcri, e tutte le pratiche intorno ad essi, siano stati importanti per i cristiani delle origini, che desideravano essere sepolti il più vicino possibile alla tomba del martire, e come siano stati il fondamento del concetto della “comunione dei santi”, che caratterizzerà il più maturo pensiero cristiano.
La concezione del corpo mistico al tempo delle catacombe
Fianco a fianco alla ricerca della pace
di Giovanni Carrù
Il concetto di santità nella civiltà paleocristiana prevede un processo lento e capillare, che si muove dall’ età apostolica, ma che trova la sua definizione soltanto nel corso del IV secolo, specialmente dal tempo della tolleranza religiosa, inaugurata da Costantino e, in particolare, durante il pontificato di Papa Damaso (366-384) che – dopo aver recuperato un cospicuo numero di sepolcri martiriali nel suburbio romano – li dota di organismi architettonici suggestivi, ma estremamente sobri, per quanto riguarda la monumentalità, e di solenni epigrammi, che evocano le gesta dei campioni della fede, in maniera enfatica e retorica.
Attorno a queste tombe si sviluppa immediatamente una forma esponenziale di venerazione, che produce come effetto immediato la creazione di aree cimiteriali estremamente concentrate, definite retrosanctos. Tali sepolcreti dimostrano come i cristiani delle origini desiderino essere sepolti il più vicino possibile alla tomba del martire, con la convinzione che, al momento della resurrezione, sarebbe stata mantenuta, nel mondo paradisiaco, questa particolare vicinanza.
Il fenomeno provocò veri e propri sconvolgimenti nelle aree circostanti le tombe martiriali, con la creazione, in qualche caso, di basiliche cimiteriali, sia nella zona ipogea delle catacombe, sia nell’ area sopratterra. Queste basiliche ad corpus divengono santuari molto ambiti dai pellegrini che, specialmente nei secoli dell’alto medioevo, diedero luogo a una “venerazione continuata” dei sacri sepolcri.
Una documentazione letteraria molto preziosa di questo instancabile pellegrinaggio è rappresentata dagli Itinerari medievali, come la Notitia ecclesiarum e il De locis, due testi riferibili al VII secolo che, in forma molto sintetica, elencano i santuari martiriali romani più importanti, che il devoto, giunto a Roma, dopo viaggi estenuanti, doveva visitare. Il tipo di venerazione comportava gesti rapidi, ma significativi, nel senso che i pellegrini inserivano nelle transenne che proteggevano le tombe dei martiri piccoli pezzi di stoffa (brandea e palliola) per “santificarli” e per avere, quale memoria del pellegrinaggio, una sorta di ricordo di quel viaggio in cui si è praticato il sacro gesto dell’ ex contactu.
Un altro segnale molto prezioso per gli archeologi e per gli storici che vogliono ricostruire la storia del pellegrinaggio, è rappresentato dall’ uso di lasciare lungo gli itinera ad sanctos e attorno alle tombe dei martiri semplici e sintetici graffiti che ricordano il passaggio dei devoti. Queste scritte, talora autografe, altre volte realizzate presumibilmente dai preposti al santuario, ricordano esclusivamente i nomina dei pellegrini o anche il refrigerium, ossia il pasto organizzato in onore del martire, secondo un uso che abbraccia anche le commemorazioni del dies natalis, ovvero del giorno della morte dei defunti ordinari.
Tutte queste pratiche avvicinano i fedeli al martire secondo un rapporto sempre più confidenziale e regolano un processo di intercessione, ma anche di “amicizia” con i santi, la quale anticipa quel largo concetto della “comunione dei santi”, che caratterizzerà il più maturo pensiero cristiano.
La vicinanza con i martiri e con i santi, d’ altra parte, si riflette anche nell’ arte delle catacombe e, in particolar modo, nella pittura cimiteriale. Alcuni affreschi, infatti, mostrano i defunti “fianco a fianco” del Cristo, dei principi degli apostoli e dei martiri. Molto significativa risulta, a questo proposito, una pittura da riferire agli esordi del VI secolo, rinvenuta nella catacomba napoletana di San Gennaro, che mostra le defunte Cominia e Nicatiola, atteggiate come oranti, a fianco di san Gennaro, il quale presiede questo piccolo consesso, ambientato nell’ aldilà, illuminato dai ceri, quasi per sconfiggere le tenebre delle catacombe.
Anche l’epigrafia ci parla, in qualche caso, della beatitudine vissuta in compagnia dei santi. E anzi, nella piccola catacomba di Santa Cristiana a Bolsena, per una ventina di volte incidono sulle lastre funerarie la suggestiva formula pax tibi cum sanctis, un augurio che riflette una condizione paradisiaca vissuta dai defunti della città laziale di Volsinii in compagnia di tutti i santi. I cristiani Maecius, Secunda, Alexandra, Valeria, Aurelia, Marthana, Marcia, Sapricia, Decimila, Mettia Navigia, Aelius, Lampadia, Cristina, sono ricordati nei tituli funerari attraverso pochi dati anagrafici, ma tutti sono accomunati dall’ augurio commovente dei familiari che, per loro, invocano, in maniera quasi ossessionante, pax tibi cum sanctis.
La formula rivela una convinzione religiosa semplice ma profonda di una comunità impegnata in un “percorso di fede”, che accompagna il cristiano lungo il cammino che dal battesimo lo conduce verso la resurrezione finale, in perfetta coerenza con le coordinate suggerite dal Papa nel Motu proprio che promuove l’Anno della fede.
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