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giovedì 1 ottobre 2015
Malvisti: ecco perché la burocrazia europea obbliga i migranti a rischiosi "esodi" sui barconi
La copertina di Altreconomia 175 dedicata al "pasticcio" dei visti per ragioni umanitarie
Milano, 1 ottobre 2015 - La “parodia” di Ryanfair, un sito del tutto simile a quello di Ryanair secondo cui il vettore low cost irlandese si sarebbe impegnato dal 12 ottobre a far salire a bordo i migranti senza controllare i documenti, coglie nel senso: come dimostra l’articolo cui Altreconomia dedica la copertina del numero di ottobre 2015, a costringere i migranti a salire sui barconi o a fuggire a piedi è la burocrazia europea. Basterebbe poco, e cioè un visto umanitario, per poter salire su un aereo, e viaggiare senza rischi e senza spendere anche decine di migliaia di euro.
In base alla direttiva europea 51 del 2001, l’Ue sarebbe infatti obbligata a rispettare la convenzione di Ginevra in materia di rifugiati. Le ambasciate, però, non concedono visti, mentre i Paesi “scaricano” la responsabilità di verificare i documenti sulle compagnie aeree, che rischierebbero pesanti sanzioni se facessero passare al check-in soggetti che non hanno un visto.
Dal 1° gennaio al 15 settembre 2015 ben 2.812 migranti sono morti nel Mediterraneo.
C’è un’azienda italiana che tra il 2010 e il 2014 ha perso il 12% della produzione, dal 2005 ha ridotto del 40 per cento la propria capitalizzazione di Borsa, ma soprattutto ha visto crescere del 23% i costi operativi legati al proprio principale business tra il 2012 e il 2014, quando il profitto medio -sempre legato al proprio mercato core- è sceso del 39%.
Questo soggetto è ENI, e a vent’anni dalla quotazione a Piazza Affari un’inchiesta di Altreconomia spiega perché il gigante -un gruppo attivo in 41 Paesi, con 84mila dipendenti e quasi 110 miliardi di euro di fatturato- è fragile. Colpa di riserve incerte, guai giudiziari e investimenti mal calibrati, come quelli per sfruttare il giacimento di Kashagan, che è già costato 8,5 miliardi di euro. Con infografica.
Il 31 ottobre 2015 termina l’Esposizione universale di Milano. Ad Acli, Banca Etica, Caritas, Legambiente, Slow Food e Fondazione Triulza abbiamo chiesto come’è stato vivere l’esposizione “da dentro”.
Senza dimenticare, però, “l’eredità” di Expo: costi impennati, procedimenti giudiziaria in corso (anche sull’appalto zero, quello per la rimozione delle interferenze), incertezza sulla destinazione dell’area e infrastrutture -come BREBEMI, TEEM e Pedemontana- “discutibili”.
L’Italia ha una “polizia ambientale”, e questa si chiama Corpo forestale dello Stato (Cfs): nel 2014 ha scoperto il 48% degli ecoreati compiuti nel Paese (oltre 14mila infrazioni).
Il personale -circa 7.500 persone- è presente in modo diffuso su tutto il territorio nazionale, e si occupa tra l’altro di indagare le frodi nel settore agro-alimentare. Se il governo esercitasse la legge delega prevista dal ddl Madia di riforma della pubblica amministrazione cancellando il Corpo, sarebbe a rischio anche la gestione di 130 riserve naturali statali. Un paradosso nell’anno che ha visto l’approvazione della legge sugli “eco reati”.
Con un’infografica e un elenco delle maggiore operazioni realizzate dal Corpo nell’estate del 2015.
Il 2,4% della spesa per farmaci sostenuta dal Servizio sanitario nazionale nel 2014 è servita per acquistare antidepressivi. Poco meno del 3,0% dedicato agli antibiotici. Il consumo dei primi è cresciuto del 30% in meno di dieci anni, dal 2006. Secondo il ministero della Salute, l’11,2% della popolazione è colpito -nell’arco della sua vita- da depressione. Secondo lo psichiatra Piero Cipriano ciò è dovuto alla modifiche nei manuali diagnostici: “Lutto, tristezza e rabbia sono ormai considerate patologie”.
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