Il produttore di vino delle Cantine Calatrasi, Maurizio Miccichè, in un viaggio che ripercorre il cammino dei suoi avi, giunge tra Tunisi e Hammamet e qui costituisce Domaine Neferis, la tenuta in cui l’enologo di riferimento è una donna, l’unica in Tunisia a svolgere questo lavoro.
“Stavo frequentando l’Università di Tunisi per conseguire il Diploma in scienze agro-alimentari e dovevo preparare la mia tesi. Tutti si erano buttati su olio e conserve e io volevo fare qualcosa di originale e mi sono detta: perché non il vino? Tutti mi hanno detto ‘sei pazza’ ma io non ho dato peso alle chiacchiere ed eccomi qui. La tesi prevedeva uno stage tematico. Mi sono occupata di microbiologia del vino e contaminazioni nell’imbottigliamento dopo l’uso dei filtri di sterilizzazione. Un argomento estremamente noioso. Dopo lo stage all’Union Centrale des Coopératives des Viticoles (la più grande del paese, pubblica) ho capito che il vino era la mia strada ma volevo stare in cantina e non in laboratorio”.
Così resta otto mesi a casa rifiutando varie offerte di lavoro, finché arriva l’incontro fortunato con Mohamed Ben Cheikh, oggi socio (al 34% come persona fisica) di Maurizio Micciché, l’azienda siciliana di San Cipirrello (a 30 minuti da Palermo) proprietaria al 66% dell’azienda SMVDA Domaine Neferis per la quale lavora. “Ho incontrato Micciché – lo ricordo come fosse oggi – il 30 marzo del 2001 alle cinque del pomeriggio a Tunisi, nel suo ufficio. Siamo rimasti a parlare per quasi tre ore e credo che il mio entusiasmo e il fatto che parlassi italiano e amassi così tanto l’Italia lo abbiano conquistato. Mi ha chiesto solo di migliorare l’inglese perché allora in azienda c’era una wine maker australiana dalla quale ho imparato molto. Ed eccomi qua”.
Una storia singolare perché racconta l’investimento di un tipico made in Italy in un paese musulmano dove il vino non è scontato anche se forse la Tunisia è il miglior produttore almeno del Maghreb fin dall’epoca romana e proprio grazie ai Romani, sebbene poi la regolamentazione sia di tipo francese. La scelta per la propria azienda di una figura di riferimento quale l’enologo, donna, è per altro una nota di originalità che narra l’incontro tra due mondi.
In verità i vino in un paese musulmano è molto più importante di quanto si possa credere, anche per la tradizione, almeno nel Mediterraneo, soprattutto in Tunisia, dove a più riprese si è sviluppata la coltivazione della vite (romani, francesi e poi la nazionalizzazione delle terre che ha abbassato il livello qualitativo). Con la rivoluzione cambia anche il consumo di alcol e per certi aspetti diventa cruciale soprattutto nella vendemmia 2013, agitata da rivendicazioni sulla libertà di stampa, battaglie sindacali e nuovo femminismo. Mentre crolla il turismo il vino con le sue alte accise per lo stato diventa una voce importante sulla quale scommettere, venduto a prezzo più alto nel paese che all’estero; è un’attrazione essenziale per invogliare il turismo, prova che il rigurgito religioso non mette in discussione lo stile di vita almeno degli stranieri. Il consumo cresce e anche in qualità e sono i tunisini a scommettere su un nuovo modo di bere; purtroppo cresce anche l’uso smodato. Sono le contraddizioni di un mondo in rivolta.
La storia di Samia, unica enologa tunisina, musulmana, sebbene non praticante, ci ha raccontato la Tunisia in fermento. E’ la Sommelier di una delle più importanti case vinicole, al 65% italiana, che ha il prodotto top per costo nel paese. Lei, volitiva e determinata, grazie al vino, una passione che nasce per caso, diventa il ‘capo di una squadra al maschile’, conquista successo e autonomia come donna, ma è anche testimone di un’identità tunisina da ritrovare, quella della storia che la sua famiglia le trasmette: apertura, multiculturalità, dove c’è posto per la vite insieme all’ulivo e al montone. Oggi qualcosa potrebbe cambiare, in peggio: lei stessa ha ricevuto degli avvertimenti minacciosi e l’invito a essere low profile, proprio mentre la birra tunisina entra nei supermercati francesi e viene venduta on line in Europa. Sono gli aspetti di una società in fermento piena di contrasti; basti pensare che i raccoglitori d’uva di Samia sono tutte donne, velate sì, ma orgogliose del proprio lavoro. (…)
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