Pontificia Università Lateranense, nell’Aula Pio XI si è svolto il convegno “Nascita e rinascita. Elogio della vita”. Ad aprire l’incontro il saluto del Rettore Magnifico, Mons Enrico Dal Covolo: “Vi auguro che questo Convegno, come ogni altra iniziativa, sia il luogo nel quale ognuno “restituisca” quello che ha visto, proprio come fa il ricercatore che è motivato da una sana passione per la verità, e che ognuno di noi prenda consapevolezza sempre più piena che senza eticità anche le ricerche più diligenti divengono “sterili”, e quindi “infruttuose”, per sé e per gli altri”.
Riprendiamo di seguito il testo del saluto rivolto dal Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico Dal Covolo, al convegno “Nascita e rinascita. Elogio della vita”, nell’Aula Pio XI
Sono lieto di portare il mio saluto, all’inizio di questo incontro di studio promosso dalla Facoltà di Filosofia della nostra Università e dal Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche. Devo dire anzi che la tematica di questo Convegno mi interessa molto, dal momento che gli illustri Relatori andranno a sviluppare argomenti intimamente legati alla sensibilità di chi, come me, intende farsi “carico” dei processi educativi, al fine di aiutare ogni singola persona ad acquisire una serena reale conoscenza di sé.
Nel dibattito attuale, molti sono gli stimoli che ci vengono offerti, anche se – e me ne vado convincendo sempre di più – occorre assumere su di sé la “fatica” di elaborare nuovi modelli educativi, che tengano conto della complessità nella quale oggi la persona è collocata. In questo modo quello che andiamo ad indagare nelle nostre ricerche ha bisogno di essere messo in campo, perché il banco di prova delle nostre indagini è proprio il mondo nel quale siamo inseriti. È a questo punto che inizia la “fatica”, proprio quando dobbiamo verificare se l’abito che abbiamo cucito con le nostre ricerche sia aderente alla realtà concreta della persona che ci è innanzi. Vi dico questo perché molte volte ognuno di noi fa esperienza dell’inflazione di alcuni termini, che spesso sono utilizzati senza conoscerne appieno il loro significato.
Ad esempio, alla base di ogni percorso formativo c’è una relazione empatica: ma che cosa significa esattamente empatia? Sappiamo bene come si parli spesso di empatia, ma io vorrei capire meglio che cosa essa può provocare, e quale guadagno ne possiamo ricavare.
Fin dalla nascita, e ancor prima di essa, il bambino fa esperienza di questo processo empatico, e scopre che questo “legame” è di vitale importanza per la sopravvivenza. Già questo deve farci riflettere: l’empatia non è una sterile ricerca fatta a tavolino, ma deve partire dal vissuto quotidiano. La vita e la ricerca debbono rimanere intimamente legate, altrimenti corriamo il rischio di “convincerci” di vivere empaticamente, ma alla fine altro non facciamo che sopravvivere alle relazioni: Di fatto, invece, che molte di esse risultano interrotte. Vivere fino in fondo il processo empatico significa essere inseriti nel mondo e vivere in modo etico, quindi veritativo. Tutta questa ricchezza, derivante da una vita etica, può essere canalizzata nel processo empatico, dove l’altro diviene non solo un “fenomeno” da analizzare, ma un elemento indispensabile alla sopravvivenza della fondamentale relazione dialogica io-tu. Quando avremo assunto questa consapevolezza, le relazioni saranno veritative, o come spesso amo definire, saranno libere e liberanti.
Tutto questo, che ora qui sinteticamente vi “restituisco”, è stato oggetto di riflessione nel Convegno che abbiamo tenuto lo scorso 18-19 aprile presso l’Università degli Studi di Bari, al quale hanno preso parti alcuni docenti del Laterano, che pure sono qui presenti, e attivi protagonisti del Simposio odierno.
Vi auguro che questo Convegno, come ogni altra iniziativa, sia il luogo nel quale ognuno “restituisca” quello che ha visto, proprio come fa il ricercatore che è motivato da una sana passione per la verità, e che ognuno di noi prenda consapevolezza sempre più piena che senza eticità anche le ricerche più diligenti divengono “sterili”, e quindi “infruttuose”, per sé e per gli altri.
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