La figura femminile orante, frequente nelle pitture catacombali, è dal punto di vista iconografico tuttora oggetto di discussione fra gli studiosi circa la sua natura: è una delle prime immagini della Vergine con il Bambino? È l’immagine di una devota matrona con il figlio defunto?
L’articolo di Mons. Giovanni Carrù, Segretario della Pontificia Commissione per l’Archeologica Sacra, pubblicato sull’Osservatore Romano del 15 agosto 2010, approfondisce l’argomento.
Lungo la via Nomentana, non lontano dal grande complesso monumentale di Sant’ Agnese, si sviluppa il cimitero Maggiore, così definito per distinguerlo dal meno esteso cimitero Minore, non ancora completamente scavato. Secondo il prezioso documento agiografico noto come Martirologio geronimiano, che fa menzione, nel V secolo, dei più importanti martiri dei primi secoli, al Maius erano sepolti i santi Papia, Mauro, Alessandro, Felice e Vittore, ma, secondo fonti più tarde e leggendarie, doveva trovare riposo anche Emerenziana, per la tradizione sorella di latte di sant’ Agnese. Il cimitero Maggiore, in gran parte scavato nel secolo scorso dal padre Umberto Maria Fasola, per molti anni segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, si sviluppa su due piani e ha origini piuttosto antiche, riferibili già al III secolo, come testimoniano alcuni affreschi che riproducono, tra l’altro, una delle più suggestive immagini del Cristo maestro, rappresentato come un ispirato filosofo. Nel IV secolo il cimitero conosce un grande sviluppo, proponendo un audace scavo di cubicoli complessi, provvisti di cattedre e per i refrigeria, che si svolgevano in onore dei defunti e dei martiri. La tradizione attribuisce una di queste cattedre alla sede dove Pietro battezzava i primi cristiani, mentre un cubicolo particolarmente complesso è stato identificato come il luogo di sepoltura di sant’ Emerenziana. Non lontano da quest’ ultimo ambiente fu ritrovato un cubicolo decorato ad affresco e riferibile al pieno IV secolo. In un arcosolio si riconosce, proprio nella lunetta di fondo, una solenne immagine femminile, orante, ritratta a mezzo busto, con un bambino dinanzi e con due grandi cristogrammi ai lati, rappresentati specularmente. La donna presenta l’acconciatura tipica del IV secolo, un velo leggero, gioielli e una preziosa palla ampia e caratterizzata da grandi bande colorate. Nel sottarco appaiono altre due figure di oranti, suggerendo che nel cubicolo è sepolta un’intera famiglia nobile e abbiente. Al momento della scoperta la matrona orante fu interpretata come la Vergine con il Bambino, ma l’abbigliamento, l’acconciatura e gli accessori preziosi allontanarono, pian piano, gli iconografi da questa lettura. Eppure, l’atteggiamento della donna, la presenza del bambino e quella dei cristogrammi fanno assurgere il ritratto della defunta a prototipo di uno schema iconografico che avrà grande fortuna nella stagione bizantina. Maria assumerà, infatti, assai spesso l’atteggiamento della preghiera, ovvero delle braccia levate, per esprimere i concetti intimi e delicati dell’annunciazione e dell’incarnazione, mostrando con questo gesto, insieme discreto e indice di incredula sorpresa, l’abbandono, la fiducia e la sottomissione alla volontà del Padre. In questo senso la Vergine diviene – secondo la terminologia bizantina – Deomène e Theotòkos, ovvero riveste il ruolo di intermediaria, rivolgendo una preghiera universale al Figlio per la salvezza del genere umano e assumendo la parte di anello di congiunzione tra l’umanità e l’Eterno. L’ atteggiamento di orante assunto dalla Vergine nelle icone bizantine richiama, in ultima battuta, la forma della croce, intrecciando, in maniera indissolubile, i misteri dell’incarnazione e della morte del Cristo, tanto che, assai spesso, la Deomène propone, all’altezza del ventre il Bambino, allacciando due momenti epocali della storia del Cristo, di cui Maria è strumento e mediatrice privilegiata, anticipando la tensione tragica, ma sospesa, della Deèsis. Ebbene, questa trafila iconografica, che si consuma specie in Oriente e nella civiltà bizantina, sembra trovare i suoi antefatti più lontani e limpidi in quella pittura del cimitero Maggiore, quando l’arte cristiana insorge, ma già prepara un percorso della storia e della fede per Maria, tramite insostituibile della incarnazione.
L’articolo di Mons. Giovanni Carrù, Segretario della Pontificia Commissione per l’Archeologica Sacra, pubblicato sull’Osservatore Romano del 15 agosto 2010, approfondisce l’argomento.
La Signora che prega
di Giovanni Carrù |
Fonte: IlCattolico.it
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