Il 3 dicembre Amnesty International Italia ha trasmesso all'Ambasciata dell'Arabia Saudita a Roma le oltre 30 mila firme raccolte per chiedere di fermare l'esecuzione di Ali Mohammed Baqir al-Nimr, il giovane attivista sciita condannato a morte per partecipazione a manifestazioni antigovernative, attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano armata e possesso di armi, tutti reati che avrebbe commesso all'età di 17 anni. La sua condanna sarebbe stata emessa sulla base di una confessione estorta con la tortura.
Di fronte all'ennesimo rifiuto da parte della rappresentanza diplomatica dell'Arabia Saudita di un dialogo con l'organizzazione e al rischio imminente di esecuzione di oltre 50 persone riportato dalla stampa filogovernativa saudita, Amnesty International Italia ha deciso di recapitare a mano le firme.
Le madri di cinque attivisti musulmani sciiti, dopo aver appreso nei giorni scorsi dei preparativi in corso per le esecuzioni, hanno implorato la clemenza al Re Salman. Tra i cinque attivisti citati nell'appello delle madri ci sono i minorenni all'epoca del reato Abdullah al-Zaher e Hussein al-Marhoon oltre allo stesso al-Nimr.
Negli ultimi mesi, Amnesty International ha condotto campagne a livello internazionale per l'annullamento delle condanne a morte, inflitte sulla base di denunce di tortura e di processi gravemente iniqui, ricordando più volte alle autorità saudite la proibizione dell'uso della pena di morte nei confronti dei minori di 18 anni, sancita dal diritto internazionale.
Amnesty International esprime preoccupazione anche per la sorte di Ashraf Fayadh, poeta e artista palestinese di 35 anni nato e residente in Arabia Saudita, condannato a morte il 17 novembre. Il tribunale di Abha lo ha accusato di apostasia dopo il ribaltamento in appello della sentenza che lo aveva condannato a 4 anni di detenzione e 800 frustate per aver violato l'articolo 6 della Legge saudita contro i reati informatici. A Fayadh è stata negata la possibilità di avvalersi di un avvocato durante la detenzione e il processo, in palese violazione delle leggi nazionali e internazionali. Per Amnesty International, che raccoglie firme in suo favore su www.amnesty.it, è un prigioniero di coscienza.
L'Arabia Saudita è tra i paesi che maggiormente ricorrono alla pena capitale, con più di 2.000 esecuzioni avvenute dal 1985 al 2015. Fra il 1° gennaio e il 9 novembre di quest'anno, sono state messe a morte almeno 151 persone, di cui circa la metà per crimini non classificabili come "reati più gravi" per i quali la pena di morte può essere comminata ai sensi del diritto internazionale. L'Arabia Saudita continua a condannare a morte persone incriminate per "reati" non ritenuti tali dal diritto internazionale tra cui l'apostasia, l'adulterio, la stregoneria e la magia.
La pena di morte è una punizione crudele, inumana e degradante. Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi senza eccezione, a prescindere dalla natura o dalle circostanze del reato, dalla colpa, dall'innocenza o da altre caratteristiche dell'individuo, o dal metodo utilizzato dallo stato per effettuare l'esecuzione.
Roma, 3 dicembre 2015
Di fronte all'ennesimo rifiuto da parte della rappresentanza diplomatica dell'Arabia Saudita di un dialogo con l'organizzazione e al rischio imminente di esecuzione di oltre 50 persone riportato dalla stampa filogovernativa saudita, Amnesty International Italia ha deciso di recapitare a mano le firme.
Le madri di cinque attivisti musulmani sciiti, dopo aver appreso nei giorni scorsi dei preparativi in corso per le esecuzioni, hanno implorato la clemenza al Re Salman. Tra i cinque attivisti citati nell'appello delle madri ci sono i minorenni all'epoca del reato Abdullah al-Zaher e Hussein al-Marhoon oltre allo stesso al-Nimr.
Negli ultimi mesi, Amnesty International ha condotto campagne a livello internazionale per l'annullamento delle condanne a morte, inflitte sulla base di denunce di tortura e di processi gravemente iniqui, ricordando più volte alle autorità saudite la proibizione dell'uso della pena di morte nei confronti dei minori di 18 anni, sancita dal diritto internazionale.
Amnesty International esprime preoccupazione anche per la sorte di Ashraf Fayadh, poeta e artista palestinese di 35 anni nato e residente in Arabia Saudita, condannato a morte il 17 novembre. Il tribunale di Abha lo ha accusato di apostasia dopo il ribaltamento in appello della sentenza che lo aveva condannato a 4 anni di detenzione e 800 frustate per aver violato l'articolo 6 della Legge saudita contro i reati informatici. A Fayadh è stata negata la possibilità di avvalersi di un avvocato durante la detenzione e il processo, in palese violazione delle leggi nazionali e internazionali. Per Amnesty International, che raccoglie firme in suo favore su www.amnesty.it, è un prigioniero di coscienza.
L'Arabia Saudita è tra i paesi che maggiormente ricorrono alla pena capitale, con più di 2.000 esecuzioni avvenute dal 1985 al 2015. Fra il 1° gennaio e il 9 novembre di quest'anno, sono state messe a morte almeno 151 persone, di cui circa la metà per crimini non classificabili come "reati più gravi" per i quali la pena di morte può essere comminata ai sensi del diritto internazionale. L'Arabia Saudita continua a condannare a morte persone incriminate per "reati" non ritenuti tali dal diritto internazionale tra cui l'apostasia, l'adulterio, la stregoneria e la magia.
La pena di morte è una punizione crudele, inumana e degradante. Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi senza eccezione, a prescindere dalla natura o dalle circostanze del reato, dalla colpa, dall'innocenza o da altre caratteristiche dell'individuo, o dal metodo utilizzato dallo stato per effettuare l'esecuzione.
Roma, 3 dicembre 2015
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