Avvocati: dopo l’ok alla riforma, la professione guarda al futuro
E’ stato un percorso sofferto, pieno di insidie e distinguo. Dal 14 luglio scorso, quando il testo di riforma dell’Avvocatura ricevette l’ok del comitato ristretto della commissione Giustizia del Senato, i tentativi di modificare, spuntare, o sabotare il make up di una professione, che interessa 220mila avvocati italiani, sono stati continui. E hanno fatto chiasso: dall’Antitrust con la sua pressione in nome della concorrenza, all’Associazione nazionale magistrati preoccupata per lo “spreco di energie” richiesto per presiede alle commissioni d’esame per i legali. Fino all’ultimo blitz di Confindustria, Ania, Assogestioni ad Assonomine, Confcommercio e Legacop che in una lettera congiunta al Guardasigilli Alfano, hanno messo sulla graticola le riserve di attività a favore dei soli avvocati iscritti all’Albo e le modalità restrittive per l’accesso alla professione. Il mondo legale, ha resistito colpo su colpo dimostrandosi compatto a difesa della riforma e nel “decalogo” ha messo nero su bianco i “cardini irrinunciabili” del futuro per la professione. Stretta com’è dalla crisi e dall’elevato numero di coloro che sono chiamati nella aule dei tribunali ad assicurare il diritto costituzionale alla difesa. Maggiore selezione all’accesso accompagnata da un maggior rigore su formazione obbligatoria e specializzazione a favore dei cittadini-utenti. Tariffe certe ed effettività dello svolgimento della professione. Perché il “mestiere” sia svolto da chi effettivamente “pratica” sul campo e non sia solo un titolo da offrire al cliente quando si vuole soffiare una causa al collega di turno. Una maggiore deontologia che ora verrà anche da un esame di Stato più selettivo. Perché non ha senso parlare di processo civile telematico, se gli attori coinvolti nella buona riuscita dell’ambizioso progetto, siano quei legali che, passato l’ostacolo di una selezione di massa 20 anni prima, non hanno mai aperto un Codice per la successiva esistenza lavorativa. E hanno scelto di buttarsi sul marketing legale, sulla cattedra in università o come assistenti, o peggio, fare il dipendente in qualche segreteria della pubblica amministrazione. In attesa di fiutare “l’affare” della vita: la causa milionaria che vale la pensione di vecchiaia. Tra i punti “qualificanti” posti dai paletti della riforma approvata, c’è proprio la nuova pelle che la professione assumerà nel futuro e, di conseguenza, la revisione della figura stessa del legale. La garanzia del lavoro (quotidiano e non una tantum) degli avvocati italiani non è un concetto liberalizzabile o legato alla capacità o meno di farsi pubblicità sul sito del proprio studio. Il “decoro” del mondo legale, su cui ha tanto insistito il Consiglio nazionale forense (seguito, per fortuna) dalle principali sigle dell’Avvocatura, è stato “difeso” ad oltranza. Anche contro i tempi avversi (perché molto ridotti) dell’iter legislativo. L’avvocato al supermercato che offre consulenza legale nel reparto salumi e latticini a 10 euro, forse, è stato scongiurato. L’unità del mondo dell’avvocatura sul Ddl ha fatto breccia. Il relatore della riforma dell’ordinamento forense Giuseppe Valentino e il presidente della commissione Filippo Berselli hanno resistito alle tentazioni di far proprie le sollecitazioni che piovevano da mesi sulla scrivania del ministro della Giustizia, da una parte piuttosto che dall’altra. E dopo 80 anni, la “rivoluzione” ha preso forma nei 65 articoli del Ddl. Ora gli Albi saranno aggiornati perché chi non esercita sarà depennato. Ora sull’elenco degli avvocati specialisti, vigilerà il CNF e i clienti avranno maggiore chiarezza su chi affidare le proprie beghe giudiziarie, civili e penali. La commissione giustizia ha finito il proprio lavoro. Ora la palla passa ai senatori. Da ieri (venerdì) i legali sono VI Conferenza nazionale dell'avvocatura. Negli stati generali dell’Avvocatura, la riforma appena approvata è già la principale protagonista. Ma dal meeting unitario la sensazione che si ha, è che ormai le promesse sono state messe alle spalle. Perché il futuro è ormai alle porte. E ciò che gli avvocati chiedono ora sono i fatti. Il prossimo “step” sarà il riconoscimento costituzionale del ruolo dell'Avvocatura e quindi il principio di parità tra accusa e difesa.
E’ stato un percorso sofferto, pieno di insidie e distinguo. Dal 14 luglio scorso, quando il testo di riforma dell’Avvocatura ricevette l’ok del comitato ristretto della commissione Giustizia del Senato, i tentativi di modificare, spuntare, o sabotare il make up di una professione, che interessa 220mila avvocati italiani, sono stati continui. E hanno fatto chiasso: dall’Antitrust con la sua pressione in nome della concorrenza, all’Associazione nazionale magistrati preoccupata per lo “spreco di energie” richiesto per presiede alle commissioni d’esame per i legali. Fino all’ultimo blitz di Confindustria, Ania, Assogestioni ad Assonomine, Confcommercio e Legacop che in una lettera congiunta al Guardasigilli Alfano, hanno messo sulla graticola le riserve di attività a favore dei soli avvocati iscritti all’Albo e le modalità restrittive per l’accesso alla professione. Il mondo legale, ha resistito colpo su colpo dimostrandosi compatto a difesa della riforma e nel “decalogo” ha messo nero su bianco i “cardini irrinunciabili” del futuro per la professione. Stretta com’è dalla crisi e dall’elevato numero di coloro che sono chiamati nella aule dei tribunali ad assicurare il diritto costituzionale alla difesa. Maggiore selezione all’accesso accompagnata da un maggior rigore su formazione obbligatoria e specializzazione a favore dei cittadini-utenti. Tariffe certe ed effettività dello svolgimento della professione. Perché il “mestiere” sia svolto da chi effettivamente “pratica” sul campo e non sia solo un titolo da offrire al cliente quando si vuole soffiare una causa al collega di turno. Una maggiore deontologia che ora verrà anche da un esame di Stato più selettivo. Perché non ha senso parlare di processo civile telematico, se gli attori coinvolti nella buona riuscita dell’ambizioso progetto, siano quei legali che, passato l’ostacolo di una selezione di massa 20 anni prima, non hanno mai aperto un Codice per la successiva esistenza lavorativa. E hanno scelto di buttarsi sul marketing legale, sulla cattedra in università o come assistenti, o peggio, fare il dipendente in qualche segreteria della pubblica amministrazione. In attesa di fiutare “l’affare” della vita: la causa milionaria che vale la pensione di vecchiaia. Tra i punti “qualificanti” posti dai paletti della riforma approvata, c’è proprio la nuova pelle che la professione assumerà nel futuro e, di conseguenza, la revisione della figura stessa del legale. La garanzia del lavoro (quotidiano e non una tantum) degli avvocati italiani non è un concetto liberalizzabile o legato alla capacità o meno di farsi pubblicità sul sito del proprio studio. Il “decoro” del mondo legale, su cui ha tanto insistito il Consiglio nazionale forense (seguito, per fortuna) dalle principali sigle dell’Avvocatura, è stato “difeso” ad oltranza. Anche contro i tempi avversi (perché molto ridotti) dell’iter legislativo. L’avvocato al supermercato che offre consulenza legale nel reparto salumi e latticini a 10 euro, forse, è stato scongiurato. L’unità del mondo dell’avvocatura sul Ddl ha fatto breccia. Il relatore della riforma dell’ordinamento forense Giuseppe Valentino e il presidente della commissione Filippo Berselli hanno resistito alle tentazioni di far proprie le sollecitazioni che piovevano da mesi sulla scrivania del ministro della Giustizia, da una parte piuttosto che dall’altra. E dopo 80 anni, la “rivoluzione” ha preso forma nei 65 articoli del Ddl. Ora gli Albi saranno aggiornati perché chi non esercita sarà depennato. Ora sull’elenco degli avvocati specialisti, vigilerà il CNF e i clienti avranno maggiore chiarezza su chi affidare le proprie beghe giudiziarie, civili e penali. La commissione giustizia ha finito il proprio lavoro. Ora la palla passa ai senatori. Da ieri (venerdì) i legali sono VI Conferenza nazionale dell'avvocatura. Negli stati generali dell’Avvocatura, la riforma appena approvata è già la principale protagonista. Ma dal meeting unitario la sensazione che si ha, è che ormai le promesse sono state messe alle spalle. Perché il futuro è ormai alle porte. E ciò che gli avvocati chiedono ora sono i fatti. Il prossimo “step” sarà il riconoscimento costituzionale del ruolo dell'Avvocatura e quindi il principio di parità tra accusa e difesa.
Daniele Memola
link:www.opinione.it
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