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mercoledì 7 ottobre 2009
L'ALBERO COSMICO
Il calendario Maya è estremamente complesso e ancora troppo poco studiato, quindi la comprensione di questi argomenti è limitata. Bisogna tener presente che questa civiltà come quella Azteca, è stata completamente distrutta. annientata e cancellata dall’arrivo degli spagnoli di Hernan Cortez nel 1519, per cui ciò che rimane della loro cultura sono frammenti.
La grande aspirazione del popolo maya fu sempre quella di trovare un’unità numerica in tutte le manifestazioni che coinvolgono lo spazio e il tempo; in definitiva, essi andavano alla ricerca di un numero particolare che potesse unificare tutte le varie ciclicità del fluire del tempo; la periodicità delle ere, quella dei vari calendari, dei cicli cosmici e della storia. Questi periodi venivano identificati nell’Albero Cosmico, ovverossia stelle, pianeti, costellazioni. I Maya furono forse il popolo più attento e preciso nel registrare i movimenti del cielo, conoscendo molto bene i periodi siderali di Marte Venere, Luna Sole, ma anche quelli lunghissimi, fino a 90,000 anni. Perché, visto che in sostanza era un popolo primitivo, avevano l’ossessione del tempo? In sostanza avevano un concetto del tempo molto più evoluto rispetto al nostro, più significativo ed in sintonia con i cambi della natura di cui avevano un estremo rispetto. Il tempo moderno è assolutamente indifferente e scorre uniforme, ha perso il contatto vitale con la natura.
Secondo il detto ermetico “Come sopra, così sotto”, il mondo delle attività della natura ed umane è semplicemente un riflesso delle forze cosmiche che agiscono da sempre sul pianeta.L’Energia Vitale, la fertilità inerente in tutta la natura, rappresentava per i nostri antenati un mistero grandioso. I cicli ricorrenti delle stagioni: la fioritura, la fruizione, la successiva decadenza e rinascita miracolosa - da rami apparentemente morti - che esplodevano con vitalità la primavera successiva, erano visti come un riflesso delle forze rigenerative presenti nel cosmo.
Rituali elaborati e cerimonie erano praticati dall’individuo non solo per assicurare la continua fertilità della terra, ma anche per partecipare spiritualmente ai processi cosmici di rigenerazione.Gli alberi, con le loro estremamente lunghe aspettative di vita e con un vigore apparentemente inesauribile, divennero il simbolo centrale di molte religioni basate sui misteri naturali.Il concetto dell’Albero Cosmico illustra l’interconnessione tra la natura, gli esseri umani e Dio. Esso rappresenta l’”asse del mondo”, l’asse inamovibile dell’universo attorno al quale tutta la vita ruota. In questa cosmologia gli umani e gli Dei essenzialmente condividono, benché a livelli diversi, la stessa dimensione.Molti frammenti di questo simbolismo arcaico sono sopravvissuti in molte moderne religioni, benché il loro significato originale sia ora distorto o perduto.
Le due immagini dell’Albero Cosmico e dell’Albero della Vita (l’energia vitale che permea tutto il cosmo) sono molto simili e spesso si fondono. Nella tradizione induista l’Albero Cosmico è visto come radicato in cielo e dispensatore di frutti sulla terra. I suoi rami sono gli Dei, d’energia sia maschile sia femminile, e tutti gli elementi ed i principi cosmici. Ma ciascun ramo è collegato a Dio (Brahma), identificato con il possente tronco del sacro albero.Un mito Maori della creazione menziona un Albero Cosmico come il primo elemento ad essersi formato al centro di un Universo ancora interamente vuoto. Esso germogliò da un vortice energetico conosciuto come l’ombelico cosmico. L’intera creazione emerse quindi dalle miriadi di gemme che l’albero produsse.
Similarmente, nella cosmologia Maya l’Albero Cosmico è un simbolo unificante che rappresenta l’origine di tutta l’esistenza. Secondo un mito diffuso nella regione del lago Atitlan in Guatemala, all’inizio del tempo un grande albero si ergeva al centro del Cosmo ancora vuoto. Si auto impregnò e germinò nei suoi rami una moltitudine di frutti, uno per ciascuna delle cose conosciute all’umanità: animali, piante, nuvole, stelle, pietre, fulmini e lo stesso tempo.
Il Calendario Maya è quindi basato sulle funzioni dell’Albero Cosmico e sull’energia, variabile, che questa “struttura” trasmette alla terra. Per cui il calendario esprime un tipo di tempo completamente differente da quello espresso dagli altri calendari conosciuti.
Questi ultimi, come il calendario gregoriano, l’islamico, il buddista e l’ebreo, sono puramente basati su cicli fisici, astronomici. Di conseguenza, essi riflettono lo scorrere di un tempo continuo e sequenziale. Questo aspetto del tempo, chiamato “Chronos” dai Greci, è l’unico percettibile nel mondo moderno.
Ma il calendario Maya è basato su un’altra qualità del tempo: non un tempo costruito sullo scorrere prevedibile e continuo della materia (cioè, delle stelle e dei pianeti) dovuto a semplici forze gravitazionali, ma uno fondato su maturazioni energetiche (consapevolezze individuali e di gruppo) che i Greci chiamavano Kairos: il momento giusto od opportuno nel quale qualcosa di speciale accade. Il concetto non è del tutto sconosciuto alla mente occidentale: nel gergo comune, si parla del “tempo propizio” per fare un’azione e si pensa all’”energia sufficiente” perché qualcosa accada.
In questo senso, il calendario Maya è quantizzato sia nel tempo sia nell’energia cosmica che esso descrive. In questa visione il tempo non è un flusso continuo come potrebbe essere lo scorrere dell’acqua di un fiume, ma si presenta in “pacchetti” discreti di natura energetica.
Il calendario descrive anche i diversi stati energetici dell’Albero Cosmico le cui energie, bagnando la terra, definiscono momenti importanti per la nostra vita individuale, per le civiltà umane, per la terra tutta.
Questi stati energetici cosmici “quantizzati” si manifestano sulla terra, ad esempio, nelle varie ere geologiche e storiche che hanno marcato il pianeta.
E’ notevole notare come nessun altro calendario esistente, basato puramente sul movimento degli astri, è in grado di spiegare le evoluzioni geologiche discontinue (si basti pensare alla periodica inversione dei poli magnetici terrestri), le documentazioni fossili interrotte (vedi l’improvvisa scomparsa dei dinosauri) o i cambiamenti repentini nella storia dell’uomo: tutti eventi inspiegabili che hanno plasmato la terra fin dal suo inizio.
Per i Maya il baktun era uno dei 13 segni Zodiacali. I Maya conoscevano ad esempio la costellazione dello Scorpione, che era chiamata zinaan ek, cioè appunto “la stella scorpione”. I più importanti asterismi, soprattutto per il loro significato mitico, erano le costellazioni meheu ek e ac ek, corrispondenti pressappoco ai Gemelli e a Orione. In quest’ultimo gruppo, importanti erano le stelle della cintura, rappresentate da una tartaruga, mentre Alnitak, Rigel e le stelle della zona M42 indicavano rispettivamente le pietre e fiamme del focolare sacro. I Gemelli, secondo uno studio della Schele, erano forse rappresentati dalle immagini di due pecari (maiali selvatici) che si accoppiano tra di loro. Fu Diego de Landa - il primo e più esauriente occidentale a venire a contatto e a studiare approfonditamente la cultura maya - a scrivere nei suoi diari: “ Riuscivano (i Maya) a calcolare meravigliosamente le loro epoche, e così era facile per un vecchio con il quale mi capitò di parlare, di ricordare tradizioni che risalivano a trecento anni prima. Chiunque abbia messo ordine al loro calcolo dei katun, fosse stato anche il diavolo, lo ha fatto con una esattezza mai nel passato eguagliata.”
Una specie di compendio di questa incredibile interpretazione del Tempo - i Maya erano convinti che il mondo avesse sofferto apocalittiche distruzioni per quattro volte, e che quando il velo si alzò sulla storia dei Maya, essi stavano vivendo nell’epoca seguente la quinta creazione del mondo (gli indiani raccontarono a Diego de Landa che gli dei che reggevano la terra fuggirono “quando il mondo fu distrutto dal diluvio”)- si trova in quello che è universalmente conosciuto come Codice di Dresda .Il Codice di Dresda è uno dei tre codici Maya sopravvissuti - per puro miracolo - alla furia della conquista spagnola, che come sappiamo fece purtroppo terra bruciata dell’intera cultura Maya.
E’ stato proprio partendo da quel codice della biblioteca di Dresda, che Ernst Forstermann, impiegato di quella biblioteca, riuscì a decifrare una parte del calendario Maya, e a compiere il lungo conto che permette di stabilire una data in rapporto al punto di partenza cronologico Maya, grazie a una serie di glifi. Forstermann, in realtà, si era messo in testa di trovare il contenuto di quello strano libro di magia, e fu il primo, nel 1887, a capire che si trattava di tavole del pianeta Venere.
Ed è proprio il Codice di Dresda a fornire lumi su come il lungo computo del tempo scandito dal calendario Maya si arrestasse consapevolmente il 21 dicembre del 2012. Sappiamo poco su come essi immaginassero la fine del mondo. L’unica immagine possiamo averla osservando l’ultima pagina del codice di Dresda. In essa si vede l’acqua che distrugge il mondo, essa fuoriesce dai vulcani, dal Sole e dalla Luna generando oscurità che prevale sulla luce.
Ma il calendario Maya è basato su un’altra qualità del tempo: non un tempo costruito sullo scorrere prevedibile e continuo della materia (cioè, delle stelle e dei pianeti) dovuto a semplici forze gravitazionali, ma uno fondato su maturazioni energetiche (consapevolezze individuali e di gruppo) che i Greci chiamavano Kairos: il momento giusto od opportuno nel quale qualcosa di speciale accade. Il concetto non è del tutto sconosciuto alla mente occidentale: nel gergo comune, si parla del “tempo propizio” per fare un’azione e si pensa all’”energia sufficiente” perché qualcosa accada.
Il calendario Maya è costituito da 9 elementi fondamentali: il Giorno che si chiama Kin, che nominava anche il Sole e il sacerdote solare, quindi qualcosa di vicino, di caldo, che da vita. Ogni giorno ha un proprio nome e quindi ci sono diversi Kin. Poi ci sono i Uinal, i mesi: sono di 20 giorni più un mese aggiuntivo di 5 giorni per arrivare a 365. Non aggiungevano un giorno ad un mese ogni 4 anni come facciamo noi, non c'era l'anno bisestile, tutti gli anni c'era un mese di 5 giorni, quindi arrivavano sempre a 365. Poi c'era il Tun che equivale all'anno di 365 giorni, il Katun che sono 20 anni, cioè 20 Tun, il Baktun, il Karaktun, che moltiplicano sempre per 20, il Kinciltun fino ad arrivare all'Autun. Vanno poi aggiunte altre piccole modificazioni, in modo da avere una precisione di tempi sulle stagioni e sugli orari, in modo che l'anno era sempre conteggiato con precisione.
BAKTUN Il b’ak’tun è un ciclo del calendario maya, pari a un periodo di 144.000 giorni (ossia circa 400 anni). Ogni b’ak’tun è formato da venti k’atun (periodi di circa 20 anni). Il termine b’ak’tun, che rispecchia il sistema vigesimale utilizzato dai maya, è di creazione moderna; si compone delle parole maya b’ak (quattrocento) e tun (anno). Risale all’uso primitivo dello Zero, ed un’esatta concezione, ed un’attenta registrazione dei moti planetari Sole-Luna-Venere in primis ed in parte anche Mercurio, Marte, Giove e Saturno.
7.9.14.12.18- Questa data ad esempio sta appunto a significare: 7 baktun, 9 katun, 14 tun, 12 uinal e 18 kin.
I kin, i tun e i katun erano numerati da 0 a 19, mentre gli uinal andavano da 0 a 17 e i baktun da 1 a 13. Ciò significa che la data presa come esempio corrisponde al giorno n. 1078098 dall’inizio del conteggio: infatti 8 + 12 x 20 + 14 x 18 x 20 + 9 x 20 x 18 x 20 + 7 x 20 x 20 x 18 x 20 = 1078098. (1). Conoscendo il linguaggio geometrico ed organizzato dello spirito Maya, l’affollato Pantheon Maya è costruito di angeli e demoni in egual misura , contrapposti, a maghi, giganti e animali mostruosi, m anche delicate raffigurazioni poetiche, il segno della poiggia, il colibrì, la morte, del fiore Xochitl . Questi concetti archetipali si succedono nella cosmogonia india in una sfrenata sarabanda di episodi tra di loro interllacciati e che appare una sorta di sabba o di danza tribale, nella lotta costante tra gli elementi ; nella lotta fra Cashtoc, ad esempio, il diavolo maya, che vuole distruggere gli uomini perché hanno tagliato le loro radici dalla terra e hanno abusato del Dono del Mais, fonte di vita, e dall’ordine universale, e Candanga, il diavolo cristiano, arrivato dopo, ma che instilla peccato nei loro cuori. Il termine Maya comunque viene usato comunemente in senso geografico per designare un insieme di popolazioni (con circa 150 linguaggi diversi) che abitarono in passato l’America centrale a partire dal diciottesimo secolo prima di Cristo. Il nome deriva da quello del principale gruppo etnico e per estensione è utilizzato anche per altri gruppi più o meno eterogenei come gli Huastec (che abitavano nella regione dell’attuale Veracruz), i Tzental, i Chol, i Pokomam del Guatemala e altri. Delle origini e della storia dei Maya sappiamo pochissimo e ciò, in larga parte, per via della deliberata inumana e radicale distruzione di tutte le testimonianze scritte voluta dai conquistatori spagnoli e particolarmente dal fanatico vescovo Diego de Landa che considerava la cultura maya, ovviamente pagana, opera del demonio. Ci rimangono sostanzialmente tre testi sacri che costituiscono delle fonti importantissime per quanto riguarda la cultura e la religione di quel popolo. Il pantheon dei Maya era assai ricco e riconosceva sostanzialmente una divinità per ogni attività umana e fenomeno naturale. L’essere supremo aveva nome Hunabku, ma si trattava di una figura poco attiva, mentre la divinità più importante era Itzamná, il dio creatore, signore del fuoco e dei cuori, della morte e della vita naturale, ma anche della cultura, della medicina, dell’agricoltura, del calendario e della scrittura. Itzamná era collegato con le figure del dio Sole, Kinich Ahau, e con la dea Luna, Ixchel, rappresentata come una vecchia invasata. Questa simpatica popolazione, come tutte le sue contemporanee, aveva un mucchio di credenze bislacche. Per dirne una, erano convinti che l’universo avesse avuto origine dal Silenzio e dalle Tenebre Primordiali e che gli dei avessero commesso diversi errori nel creare l’umanità e alla fine l’avessero plasmata ricavandola dal mais. Ancor più interessante, secondo i Maya, la Terra (piatta) stava poggiata sulla coda di un enorme coccodrillo (Cipactli Coccodrillo-Pesce, simile al nostro Capra-Pesce ovverossia solstizio di Inverno, o Capricorno) che nuotava in uno specchio d’acqua (un enorme stagno o un oceano) coperto di gigli d’acqua. Quando il coccodrillo si muoveva, sulla Terra si verificavano i terremoti. Tra le tante convinzioni che i Maya si erano create, ve ne era una che il Dott. Arguelles ha creduto opportuno riesumare ai giorni nostri. Essi erano infatti convinti che il tempo avesse una struttura ciclica e vi si succedessero una serie di fasi (ere), senza principio né fine, separate tra loro da cataclismi che segnavano il ritorno al caos primordiale. Al termine di ogni era, in corrispondenza con il breve periodo di cataclismi, la Terra veniva distrutta per essere poi rigenerata all’inizio dell’era successiva. I Libri di Chilam Balam riportano predizioni e profezie riguardanti questi momenti catastrofici. Corrispondono sommariamente ad altre notizie di asteroidi che hanno colpito la Terra, maremoti, incendi e terremoti riportati anche nell’ambito di tutte le altre culture del genere umano.
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