Facebook, Myspace, Twitter: la sindrome di “uno, nessuno, 100mila”
L’accesso alla comunicazione istantanea, reso possibile dai social network ha contagiato tutti. Facebook, Myspace, Twitter e Youtube hanno milioni di utenti iscritti in tutto il mondo perché la loro forza è quella di costituire canale privilegiato capace di “liberare” chi li utilizza e il suo pensiero. Di sicuro sono una grande rivoluzione che, attraverso le diverse applicazioni e le possibilità infinite che offrono, stanno cambiando il nostro modo di studiare, lavorare, divertirci, socializzare. La sindrome da friendship virtuale però, come ogni fenomeno di massa, reca con sé pericoli non sempre prevedibili. Cosa succede infatti se la manipolazione di immagini, di concetti,di simboli diventa un’operazione più che semplice? E se la libertà che i social network più diffusi offrono, si trasforma in un vuoto comunicativo in cui lo scambio di file, foto, messaggi o “comment” finisce per non aggiungere o togliere niente o peggio si trasforma in un arma a doppio taglio?
L’ultimo episodio del 15enne di Torre del Grego che tre giorni prima del suicidio aveva annunciato le sue intenzioni attraverso il suo profilo Facebook sintetizza un po’ gli effetti perversi di una magia, forse, non a fondo compresa. Da un lato l’incapacità di staccarsi dal pc, quasi fosse una astinenza da multimedialità, dall’altra il rischio di non essere compresi a fondo. Anche quando si manifesta un’insicurezza esagerata. Anche quando ci si affida a non plus ultra della comunicazione fatta di “messaggi istantanei”. Quel messaggio “sto arrivando all’aldilà” infatti non è stato capito da nessuno: né dai genitori, né dagli amici della “friend list”, né da quelli del gruppo scout che il ragazzo frequentava, né dai compagni di scuola. Eppure quel post “Non è per voi che faccio tutto questo” era in realtà un conto alla rovescia.
Siamo figli illegittimi di una multimedialità che ci ha sopraffatto? O meglio, che ci ha dato la possibilità di essere online con mille contatti, ma non ha saputo dare le “istruzioni” giuste per poterla gestire o dosare. Forse sì. Nei social network si sa, si può essere uno, nessuno, centomila. Spazio e tempo virtuali non hanno limiti, ma alla fine si resta chiusi in una stanza davanti al pc . Si può controllare qualcuno ed essere controllati. Ci si può sentire al centro del mondo e al contempo “nascondersi” dagli affetti più veri e alla relazione umana. Reclutare amici on line, del resto è anche fissazione se poi non si conosce nemmeno il vicino di casa.
Giocare, navigare, mettersi in contatto, frugare, guardare e farsi guardare. E’ questo il nervo scoperto del fenomeno social network. Si crea apparentemente “il branco” ma se non si presta attenzione si finisce per esserne sbranati.
Daniele Memola
L’accesso alla comunicazione istantanea, reso possibile dai social network ha contagiato tutti. Facebook, Myspace, Twitter e Youtube hanno milioni di utenti iscritti in tutto il mondo perché la loro forza è quella di costituire canale privilegiato capace di “liberare” chi li utilizza e il suo pensiero. Di sicuro sono una grande rivoluzione che, attraverso le diverse applicazioni e le possibilità infinite che offrono, stanno cambiando il nostro modo di studiare, lavorare, divertirci, socializzare. La sindrome da friendship virtuale però, come ogni fenomeno di massa, reca con sé pericoli non sempre prevedibili. Cosa succede infatti se la manipolazione di immagini, di concetti,di simboli diventa un’operazione più che semplice? E se la libertà che i social network più diffusi offrono, si trasforma in un vuoto comunicativo in cui lo scambio di file, foto, messaggi o “comment” finisce per non aggiungere o togliere niente o peggio si trasforma in un arma a doppio taglio?
L’ultimo episodio del 15enne di Torre del Grego che tre giorni prima del suicidio aveva annunciato le sue intenzioni attraverso il suo profilo Facebook sintetizza un po’ gli effetti perversi di una magia, forse, non a fondo compresa. Da un lato l’incapacità di staccarsi dal pc, quasi fosse una astinenza da multimedialità, dall’altra il rischio di non essere compresi a fondo. Anche quando si manifesta un’insicurezza esagerata. Anche quando ci si affida a non plus ultra della comunicazione fatta di “messaggi istantanei”. Quel messaggio “sto arrivando all’aldilà” infatti non è stato capito da nessuno: né dai genitori, né dagli amici della “friend list”, né da quelli del gruppo scout che il ragazzo frequentava, né dai compagni di scuola. Eppure quel post “Non è per voi che faccio tutto questo” era in realtà un conto alla rovescia.
Siamo figli illegittimi di una multimedialità che ci ha sopraffatto? O meglio, che ci ha dato la possibilità di essere online con mille contatti, ma non ha saputo dare le “istruzioni” giuste per poterla gestire o dosare. Forse sì. Nei social network si sa, si può essere uno, nessuno, centomila. Spazio e tempo virtuali non hanno limiti, ma alla fine si resta chiusi in una stanza davanti al pc . Si può controllare qualcuno ed essere controllati. Ci si può sentire al centro del mondo e al contempo “nascondersi” dagli affetti più veri e alla relazione umana. Reclutare amici on line, del resto è anche fissazione se poi non si conosce nemmeno il vicino di casa.
Giocare, navigare, mettersi in contatto, frugare, guardare e farsi guardare. E’ questo il nervo scoperto del fenomeno social network. Si crea apparentemente “il branco” ma se non si presta attenzione si finisce per esserne sbranati.
Daniele Memola
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